Il cambio USD/JPY viaggia nei pressi del massimo degli ultimi 20 anni. L’ultima giornata di contrattazioni nei mercati valutari si è chiusa con il dollaro che si attestava a 134,24 yen, vicino al livello di 135,15 registratosi durante la tempesta finanziaria del Giappone del 2002. Il massimo storico del “Ninja” si è avuto invece nel 1998 a oltre 145 nel mezzo della crisi delle Tigri asiatiche.
Gli acquisti sul cross sono cominciati nel mese di marzo, dopo circa 6 anni di movimento ristretto in un range di 10 figure. E sono arrivati quando la Federal Reserve ha iniziato il ciclo di rialzo dei tassi d’interesse. Al contrario la Bank of Japan continua a mantenere accomodante la sua politica monetaria, dal momento che il Giappone vive una situazione completamente diversa dagli Stati Uniti dal punto di vista inflazionistico. Infatti, mentre negli USA il costo della vita ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 40 anni e la Fed si sta adoperando per cercare di abbatterlo, il Sol Levante ha visto solo ultimamente l’uscita dal tunnel della deflazione.
Inoltre, la situazione internazionale di tensione che potrà sfociare quantomeno in un rallentamento della crescita globale, allontana qualsiasi velleità della Banca Centrale nipponica di abbandonare la sua politica accomodante. Tutto questo ha ampliato il differenziale dei rendimenti obbligazionari sovrani tra USA e Giappone, facendo preferire gli asset denominati in dollari piuttosto che quelli espressi in yen. Di conseguenza l’USD/JPY ha intrapreso il rally che stiamo vivendo da 3 mesi.
USD/JPY: le previsioni degli analisti
Uno yen debole ha dei vantaggi per l’economia giapponese, nel senso che rende più competitivi i prodotti delle aziende che esportano all’estero. In base alle previsioni più ribassiste da parte degli analisti, l’USD/JPY potrebbe arrivare a 140-150, facendo salire i profitti delle imprese giapponesi nel breve periodo. In un rapporto dello stratega di CLSA, Nicholas Smith, si evince come molte società annunceranno guadagni eccezionali in questo trimestre, soprattutto nel settore automobilistico. Viceversa, i principali perdenti saranno i rivenditori, rileva l’esperto, in quanto subiranno il colpo dei maggiori costi delle materie prime importate.
Shusuke Yamada, Head of Japan FX and Rate Strategy presso Bank of America, ritiene che gli investitori si aspettano uno spread dei tassi d’interesse tra USA e Giappone persistere per un po’ di anni, nonostante i timori di recessione abbiano attenuato l’aumento del biglietto verde nelle ultime settimane. Questo quindi non giocherebbe a favore dello yen. La banca d’investimento Nomura ha rivisto le sue previsioni su USD/JPY, ritenendo che il cambio rimanga al di sopra di 130 più a lungo di quanto ipotizzato. In precedenza, l’istituto finanziario aveva previsto un prezzo di 125, ora per il mese di giugno stima una stabilizzazione intorno a 132.
Secondo gli analisti di Goldman Sachs, se lo yen dovesse continuare a perdere quota non è escluso un intervento da parte della BoJ, anche se il Governatore Haruhiko Kuroda ha ribadito che la moneta giapponese debole crea vantaggio per l’economia, a patto che i movimenti sul mercato non siano troppo bruschi. In una nota, gli esperti della banca d’affari americana hanno scritto che comunque vi è una tolleranza di fondo verso un ulteriore deprezzamento da parte dei funzionari dell’istituto monetario.