Il cambio USD/JPY si avvicina alla soglia fatidica dei 160, valore a partire da cui potrebbero scattare gli acquisti di yen da parte del governo giapponese. Oggi il capo di gabinetto Yoshimasa Hayashi ha dichiarato che in caso di eccessiva volatilità valutaria, le autorità “risponderanno in modo appropriato”. Un’oscillazione della moneta oltre certi limiti non è tollerata, ha precisato, in quanto colpisce la domanda delle famiglie e delle imprese. Quello di Hayashi è l’ennesimo avvertimento da parte dei funzionari governativi contro quella che è diventata una costante nei mercati valutari: l’indebolimento continuo dello yen, in particolare in confronto al dollaro USA. La dichiarazione fa seguito a quella del ministro delle Finanze Shinichi Suzuki, secondo cui i tassi di cambio devono essere stabili e riflettere i fondamentali dell’economia.
Il governo è intervenuto quest’anno nei mesi di aprile e maggio con una potenza di fuoco di 9.788 miliardi di yen, pari a oltre 60 miliardi di dollari. Una cifra che ha battuto l’importo utilizzato nell’intervento di settembre-ottobre 2022, quando il Ministero delle finanze aveva messo in campo ben 9.188 miliardi di yen. “Gli ultimi interventi riflettono la determinazione del governo a impedire che lo yen scenda sotto i 160 per dollaro” ha detto Masakazu Tokura, presidente di Keidanren, la federazione giapponese delle organizzazioni economiche.
USD/JPY: tutto nelle mani della BoJ?
Una nuova mossa del Giappone per tentare di frenare le scorribande di USD/JPY verso livelli poco desiderati rischia però di sortire gli stessi effetti del passato, ossia un iniziale temporaneo indebolimento del cross seguito nel tempo dalla ripresa del rally. In altri termini, gli interventi diretti sul mercato dei cambi curano gli effetti, ma non la causa. Per risolvere davvero il problema, occorre andare alla radice dello stesso. Gli investitori continueranno a vendere yen e comprare dollari fintanto che la differenza di rendimento tra le due valute è così ampia – oltre 5 punti percentuali – a favore del biglietto verde.
La Bank of Japan ha aumentato i tassi di interesse quest’anno uscendo da 8 anni di rendimenti negativi e ha annunciato il progressivo abbandono del limite di oscillazione del rendimento dei titoli di Stato a 10 anni. Tuttavia questo per il mercato non è abbastanza. Anche perché la BoJ continua a tenere un’impostazione accomodante nella sua politica monetaria. L’istituto governato da Kazuo Ueda ha lanciato alcuni segnali che il quantitative tightening di luglio potrebbe essere più forte di quello che si aspetta il mercato. Non solo. L’inasprimento quantitativo potrebbe anche essere accompagnato da un aumento dei tassi di interesse nella riunione del 30-31 luglio. Nell’occasione, la BoJ annuncerebbe un piano dettagliato per ridurre le dimensioni del suo bilancio da 5.000 miliardi di yen, nonché alzerebbe il costo del finanziamento probabilmente di un quarto di punto.
I mercati però non si accontentano più delle dichiarazioni da falco ma vogliono vedere risultati concreti. La sensazione generale è che alla fine la Banca centrale cercherà un compromesso per non creare shock all’economia, ossia annuncerà un piano di riduzione degli acquisti mensili a un ritmo costante e prestabilito ma lasciandosi una certa flessibilità nella regolazione della velocità delle strette. Una politica, questa, che assomiglia molto a quella adottata dalla Federal Reserve. La BoJ “deve bilanciare la necessità di stabilità del tasso di cambio con la necessità di stabilità del mercato obbligazionario” ha affermato Izuru Kato, capo economista di Totan Research. “Se lo yen continua a indebolirsi, la Banca centrale potrebbe effettuare sia il tapering che un rialzo dei tassi a luglio”. Tuttavia, “il solo tapering potrebbe non essere sufficiente per evitare che lo yen scenda ulteriormente”, ha aggiunto.