La corsa verso l’azzeramento delle emissioni di CO2 è in pieno svolgimento. Il provvedimento recentemente adottato dall’Unione europea sullo stop ai motori a benzina e diesel è solo l’ultimo passaggio dei tanti che sono stati fatti nella direzione della transizione energetica. E tanti devono essere ancora fatti. Le cifre illustrano bene quanto sia gravoso l’impegno, in termini di investimenti, della trasformazione del modo di vivere a cui siamo abituati.
Da marzo 2022 la spesa governativa globale a sostegno della produzione di energia pulita è aumentata di oltre 500 miliardi di dollari. Secondo l’International Energy Agency tra il 2026 e il 2030, anno nel quale è previsto il raggiungimento del traguardo delle emissioni zero, gli investimenti potrebbero arrivare a 4,2 miliardi di dollari in media all’anno.
Gli effetti a monte della transizione energetica
La domanda di materiali per costruire l’infrastruttura che permetterà di generare, trasmettere e stoccare energia pulita, è prevista in aumento nei prossimi anni. Allo stesso tempo, i mancati investimenti degli anni passati fanno sì che attualmente ci sia un deficit di offerta. John Ciampagnia, amministratore delegato di Sprott Asset Management è convinto che le società minerarie focalizzate su questi minerali siano ben posizionate per beneficiare dei significativi investimenti che verranno fatti nei prossimi anni.
HANetf, piattaforma white label indipendente di ETF ed ETC, ha annunciato la quotazione su Borsa Italiana dello Sprott Energy Transition Materials UCITS ETF, che investe lungo tutto il ciclo di produzione delle materie prime necessarie alla transizione energetica.
Le caratteristiche dell’ETF quotato su Borsa Italiana
L’ETF Sprott Energy Transition Materials UCITS, identificato dal codice ISIN IE00K6PPGX7 replica l’indice Nasdaq Sprott Energy Tansition Materials ex-uranium e va a completare così la copertura delle materie prime per la transizione energetica insieme con lo Sprott Uranium Miners UCITS ETF lanciato a maggio 2022. Il suo TER annuo è pari allo 0,75%.
Terre rare, argento, rame, litio, nichel, cobalto, manganese, uranio e grafite sono le materie prime messe al centro dell’attenzione dall’ETF, utilizzate nei tre passaggi che caratterizzano la catena di fornitura dell’energia, dalla generazione, alla trasmissione fino allo stoccaggio. In particolare, terre rare e argento vengono impiegate nella generazione, il rame nella trasmissione, le restanti materie prime nello stoccaggio dell’energia pulita.
All’interno dell’indice l’esposizione al settore del rame pesa per il 27,31% (rilevazione del 28 febbraio 2023), seguita dall’uranio con il 23,01% e dal litio con il 22,92%. Il portafoglio supera il 10% di esposizione anche alle terre rare mentre quote inferiori sono dedicate al nickel (8,75%) e all’argento (3,37%).
Geograficamente l’esposizione maggiore è ripartita su tre paesi grandi produttori e trasformatori di materie prime. Il Canada con il 28,1% del peso complessivo del portafoglio, l’Australia con il 23,5% e gli Stati Uniti con il 20,7%. Sensibilmente inferiore la quota degli altri paesi, il primo dei quali è il Cile al 7%. Posizione defilata per la Cina su cui è investita una quota di appena l’1,9%.
Equilibrata, infine, la distribuzione degli investimenti in base alla capitalizzazione di mercato, con il 34,48% del portafoglio dedicato ad aziende che superano i 10 miliardi di dollari, il 41,4% a imprese tra 2 e 10 miliardi e il 24,12% a imprese con meno di 2 miliardi di dollari di capitalizzazione. Le prime dieci società in portafoglio, al 29 marzo 2023, risultavano essere:
- Cameco Corp con il 5,56%
- NAC Kazatomprom JSC con il 5,52%
- Freeport-McMoRan con il 5,19%
- First Quantum Minerals con il 4,7%
- MP Materials con il 4,38%
- IGO con il 4,3%
- Sociedad Quimica y Minera de Chile con il 4,25%
- Albemarle con il 4,21%
- Pilbara Minerals con il 3,98%