Gli investitori internazionali stanno perdendo appetito verso i titoli di Stato cinesi. Secondo i dati della piattaforma Bond Connett, gli operatori stranieri nel 2022 hanno venduto circa 616 miliardi di yuan, pari a 90,63 miliardi di dollari, di obbligazioni statali, portando le loro partecipazioni complessive a circa 3.400 miliardi di yuan. Questa disaffezione è spiegata con il cambiamento della politica monetaria che si appresta ad attuare la People’s Bank of China. Lo scorso anno, mentre quasi tutte le Banche centrali del mondo inasprivano la loro politica sui tassi d’interesse per frenare l’inflazione, quella cinese manteneva alto l’accomodamento per cercare di tamponare il crollo derivante dalla chiusura delle attività per via del Covid-19.
Adesso che le attività riaprono e l’economia si appresta a risollevarsi, le autorità monetarie cinesi si preparano a una stretta monetaria. Questo significa che con tassi più alti, i prezzi dei titoli di Stato cinesi quotati sul mercato sono destinati a scendere, per la correlazione inversa che esiste tra rendimenti e quotazioni. Facendo il confronto ora con i Treasury Bond a 10 anni, non vi è nemmeno convenienza a entrare a mercato. Infatti, i bond decennali cinesi rendono circa il 3%, mentre i T-Note USA hanno una resa del 3,7%.
Inoltre, le aspettative sul mercato azionario in Cina sono molto più elevate rispetto a qualche tempo fa, grazie proprio alla riapertura del Paese dopo lo shock Covid. Questo verosimilmente dovrebbe spingere le quotazioni più in alto, compensando le restrizioni monetarie della Banca Centrale, e quindi attirando gli investitori verso le azioni.
Titoli di Stato cinesi: ecco cosa pensano i gestori
I gestori di portafoglio hanno quindi un atteggiamento guardingo nei confronti delle obbligazioni sovrane cinesi. Jason Pang, gestore del China Bond Opportunities Fund di JP Morgan Asset Management, ha affermato che “se gli investitori vogliono investire sulla ripresa della Cina, la risposta non sono i titoli di Stato cinesi”. A suo giudizio, “per beneficiare dell’andamento della propensione al rischio con le obbligazioni, è puntare sul credito offshore cinese e sul rafforzamento del renminbi”. Pang ha riferito di aver ridotto la sua esposizione nei bond pubblici e di aver riallocato gran parte dell’investimento nelle obbligazioni “dim sum offshore” denominate in yuan a Hong Kong. “Mentre gli investitori globali puntano sulla ripresa della Cina attraverso le azioni di Hong Kong, l’incremento di liquidità in questa piazza finanziaria permetteranno la creazione di un argine per queste obbligazioni”, ha precisato. In definitiva, Pang sostiene che “le obbligazioni cinesi hanno rappresentato un’ottima forma di diversificazione, in particolare negli ultimi tre anni”, ma con i tassi globali che hanno raggiunto un picco “ha senso investire la liquidità limitata in mercati con rendimenti migliori”.
Dello stesso avviso è Edmund Goh, responsabile del reddito fisso per la Cina presso il gestore britannico abrdn. L’esperto ritiene più opportuno investire nei Paesi che per primi escono dai tassi di interesse più elevati. “Non abbiamo aumentato la nostra esposizione alle obbligazioni cinesi nei nostri portafogli obbligazionari asiatici in quanto vi sono altri mercati che presentano maggiori possibilità di rialzi”, ha affermato. In questo contesto, “Corea del Sud, India e Indonesia è probabile che inizino a scontare tagli come prossimo passo politico”, ha aggiunto.
I gestori però non si aspettano che il mercato venda massicciamente i titoli di Stato cinesi, sebbene gli investitori si indirizzino verso mercati che reputano più interessanti. A giudizio di Polina Kurdyavko, responsabile dei mercati emergenti e senior portfolio manager di BlueBay Asset Management, non ci sarà “un grande scambio di obbligazioni sovrane cinesi in valuta locale”. In questo, aggiunge, “la Banca Centrale cinese è molto più abile nell’utilizzare misure amministrative per indirizzare la liquidità dove è più necessaria”.
Freddy Wong, Head of Asia-Pacific Fixed Income di Invesco, prevede ancora alcuni afflussi nei bond di Stato, in particolare con i guadagni dello yuan. “Molti investitori globali sono stati significativamente sotto-allocati ai mercati onshore cinesi. Potrebbe esserci un potenziale interesse, ma non lo classificherò come molto alto”, ha detto.