Un tema centrale che in questo periodo investe la politica, l’economia e la finanza americana riguarda il tetto al debito USA. Il Paese rischia di andare in default se il Congresso non trova un accordo bipartisan per innalzare o sospendere il tetto entro il 1° giugno 2023. Così ha affermato il segretario del Tesoro USA Janet Yellen, esortando la politica a trovare rapidamente una soluzione.
Dallo scorso anno il limite al debito è stato raggiunto, ma nel frattempo la spesa pubblica è stata coperta attraverso misure straordinarie che però, anche queste, stanno per giungere al capolinea. Ma in realtà, in cosa consiste il tetto al debito pubblico? Quando è stato introdotto e perché? E come è andata in passato? Gli Stati Uniti davvero rischiano il default se non si trova un accordo? Di seguito cercheremo di rispondere a tutte queste domande esponendo tutto ciò che bisogna conoscere sull’argomento.
Tetto al debito USA: cos’è e come funziona
Il tetto al debito USA è stato introdotto nel 1917 attraverso il Second Liberty Bond Act, secondo cui il Congresso non doveva autorizzare più il governo per emettere buoni del Tesoro al fine di finanziare la spesa. La ragione di quell’atto fu dettata dal fatto che si era nel pieno della prima guerra mondiale, per cui si ritenne opportuno consentire all’allora presidente Woodrow Wilson di indebitarsi per quanto necessario a sostenere le spese del conflitto in modo snello e senza intoppi burocratici. Tuttavia, si fissò un limite ai prestiti, di modo che non si desse il potere al presidente di farsi prendere la mano e andare oltre misura.
Quindi, si decise che per aumentare quel tetto al debito ci dovesse essere un passaggio parlamentare autorizzativo. In buona sostanza, il Congresso doveva legiferare per consentire il superamento del limite. Il Second Liberty Bond Act, che si rifaceva a una misura urgente, divenne definitivo e ogni anno negli USA si è determinato una stretta all’indebitamento. Il tetto al debito USA dunque non è altro che un limite di emissione di titoli di Stato per finanziare la spesa pubblica. Ad oggi il tetto è stato fissato a 31.400 miliardi di dollari, anche se è stato già raggiunto da un pezzo. È bene precisare che la restrizione si applica a tutto il debito federale, incluso quello che è detenuto dal pubblico e quello nei fondi fiduciari della previdenza sociale e di Medicare.
Tetto al debito USA: le misure straordinarie
Una volta che il tetto al debito è stato raggiunto e fintanto che si trova un accordo tra gli schieramenti politici per innalzarlo o sospenderlo, per evitare il default il Dipartimento del Tesoro può ricorrere a misure straordinarie. Queste consistono in manovre contabili e gestione della liquidità, come per esempio il riscatto di titoli di Stato, la chiusura temporanea dello sportello titoli dei vari Stati ed enti locali e altri provvedimenti che limitano l’esposizione debitoria. Ovviamente le misure hanno carattere di temporaneità e servono appunto per prendere tempo fino a quando non si trova una soluzione strutturale.
Tetto al debito USA: la data X
Tecnicamente il giorno in cui il Tesoro non è più in grado di pagare le proprie obbligazioni viene definito data X. Significa in sostanza che le misure straordinarie non sono più bastanti a coprire gli obblighi di spesa quotidiani, per cui è necessario ricorrere a un aumento del tetto. Per quest’anno la data X è stata fissata al 1° giugno.
Tetto al debito USA: come è andata in passato
Negli anni passati spesso si è determinato un tira e molla tra Democratici e Repubblicani per strappare condizioni a proprio vantaggio nella trattativa sull’innalzamento del tetto al debito. Tuttavia, quasi mai si è rischiato di non raggiungere un compromesso che avrebbe determinato il caos nei mercati finanziari. Un anno però la catastrofe è stata a un passo e gli Stati Uniti hanno davvero corso il pericolo del default. Fu nel 2011, allorché l’allora presidente Barack Obama e le forze parlamentari intrapresero un estenuante braccio di ferro fino a quando non si è arrivati a ridosso della data X.
Nel Paese cominciò a regnare la confusione più assoluta, con alcuni uffici dell’amministrazione federale costretti a chiudere per diversi giorni in quanto non era più possibile far fronte al pagamento di stipendi e servizi. L’agenzia di rating Standard & Poor’s declassò il debito americano dal livello massimo di tripla A ad AA+ e sui mercati finanziari scoppiò un putiferio. La situazione fortunatamente rientrò proprio in extremis, con un accordo bipartisan che imponeva un forte taglio della spesa pubblica e l’eliminazione di nuove imposte per i più ricchi del Paese. Allora si parlò di una grande concessione che il presidente Obama ha dovuto fare ai Repubblicani per scongiurare uno scenario ancora peggiore.
Gli Stati Uniti oggi rischiano davvero il default?
Sono in molti a chiedersi se davvero gli USA si troveranno nella situazione di non poter onorare il proprio debito a causa di un mancato accordo. Se la storia è una guida, non dovrebbe configurarsi l’eventualità più cupa. Tuttavia, il mercato sta scontando questa possibilità nel mercato dei titoli di Stato, i cui prezzi sono scesi rapidamente nelle ultime settimane. Ciò alla luce di posizioni distanti tra le forze politiche. I Repubblicani vorrebbero imporre la condizione di una sforbiciata imponente alla spesa pubblica, ma il presidente Biden ha replicato più volte che avrebbe fatto passare un aumento del tetto al debito solo se svuotato da ogni condizione. Gli incontri avvenuti tra l’inquilino alla Casa Bianca e i vertici delle due forze politiche finora sono risultati un salto nel vuoto. Intanto i tempi stringono per allineare le posizioni, che ancora sono molto distanti.
Cosa succede se non si trova un accordo?
Un ricorso storico che dia l’idea dell’impatto di un mancato accordo sul tetto non c’è, perché alla fine di riffa o di raffa un’intesa si è riuscita a trovare. A rigor di logica però si possono trarre alcune conclusioni, anche prendendo a riferimento il trambusto che ci fu nei mercati nel 2011.
In primo luogo, i titoli del Tesoro USA non sarebbero più considerati il massimo della sicurezza come sono stati valutati fino ad oggi. Gli investitori quindi perderebbero la tradizionale fiducia nel debito americano e comincerebbero ad attaccarlo a livello speculativo, facendo abbassare i prezzi e alzare i rendimenti. In secondo luogo, le agenzie di rating probabilmente declasserebbero i Treasury Bond e lo Stato farebbe fatica a finanziarsi sul mercato obbligazionario se non a tassi più alti, con la conseguenza di appesantire ancora di più un debito pubblico che ha già raggiunto attualmente il 120% del PIL. In terzo luogo, anche il dollaro USA potrebbe subire un forte contraccolpo, perdendo in parte la qualifica di valuta di riferimento per gli scambi internazionali. Infine, le turbolenze potrebbero riverberarsi anche sul mercato azionario, dal momento che il probabile rialzo dei rendimenti finirebbe per impattare sulle aziende che fanno ricorso al capitale di terzi per finanziare i propri investimenti.
In uno scenario così disastroso, a quel punto probabilmente interverrebbe la Federal Reserve per fornire la liquidità necessaria a evitare che i rendimenti andassero fuori controllo e per garantire un ombrello sui titoli di Stato anche mettendo nel proprio bilancio almeno una parte di quelli andati in default.