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Materie prime: Suez e Panama, forniture globali a rischio? – BorsaNews24

2025/02/18 1

Lo stretto di Bab el Mandeb, porta di ingresso per il Mar Rosso e quindi per il Canale di Suez è stato teatro, negli ultimi giorni, di attacchi da parte dei ribelli Houthi alle navi in transito. Gran Bretagna e Stati Uniti hanno reagito bombardando le posizioni militari degli Houthi ma lo scenario di tensione ha convinto già molti armatori a cambiare le rotte delle proprie flotte. Come conseguenza i tempi di consegna delle merci si allungano e i costi salgono. Nonostante gli analisti di Schroders ritengano lo scenario di oggi sia diverso da quello del 2021, il rischio di un aumento dei prezzi delle materie prime esiste e potrebbe riaccendere l’inflazione globale.

“Le immagini satellitari mostrano che praticamente nessuna nave diretta verso i principali porti europei, statunitensi o britannici sta attraversando il Mar Rosso e preferisce invece deviare verso l’Africa meridionale” scrive in un recente report David Rees, senior emerging market economist di Schroders.

 

Non solo Suez, anche Panama in crisi

A congiurare contro le catene di fornitura globali non ci sono solo gli Houthi ma anche il clima:

 

  • nel Canale di Panama una combinazione di siccità prodotta dai cambiamenti climatici e variazioni delle precipitazioni dovute a El Nino ha causato un abbassamento dei livelli delle acque;
  • il fiume Reno subisce più o meno lo stesso destino del Canale di Panama con livelli che hanno già impedito la navigazione nei mesi scorsi nel sud della Germania;
  • l’elezione del candidato indipendentista Lai Ching-te a Taiwan potrebbe aumentare la rigidità della Cina e portare a nuove esercitazioni militari nello stretto tra Cina e l’isola.

 

Le catene di fornitura globali rischiano una nuova tempesta perfetta. Tuttavia, secondo David Rees, la situazione è diversa da quella vissuta all’indomani dei lockdown per tre ragioni:

 

  1. Debolezza della domanda: la domanda globale è attualmente più debole, con la crescita economica che rallenta in molte regioni. Gli stimoli hanno inizialmente sostenuto le economie stanno esaurendo il loro effetti. “Prevediamo una crescita del PIL mondiale di appena il 2,5% sia quest’anno che il prossimo” afferma Reed.
  2. Bilanciamento nei modelli di consumo: la crisi determinata dall’uscita dai lockdown per il Covid-19 è stata caratterizzata da una concentrazione della domanda sui beni, in particolare su alcuni di essi. In seguito la domanda si è normalizzata, estendendosi anche al settore dei servizi. “I modelli di consumo – spiega Reed – sono diventati più equilibrati”. Ciò contribuisce ad attutire gli effetti di eventuali disruption nelle catene di fornitura globali.
  3. Lo stato di salute dell’economia globale è decisamente migliore. Reed ricorda che con il Covid l’economia globale si era completamente bloccata. “Ora non si registrano sconvolgimenti di questo tipo – racconta – Le deviazioni intorno all’Africa meridionale allungheranno i tempi di consegna, ma le merci giungeranno comunque a destinazione, il che suggerisce che vere e proprie carenze sono improbabili”. Inoltre l’economista di Schroders nota una crescita delle esportazioni cinesi molto più rapida in termini di volumi che di valori, il che suggerisce “che le aziende, almeno in alcuni settori, sono costrette a scontare i prezzi per smaltire le capacità in eccesso”.

 

I rischi per l’offerta di materie prime

Pur in un contesto economico diverso rispetto al periodo post-Covid, il pericolo di una salita dei prezzi delle materie prime esiste. In particolare delle materie prime energetiche. Un rialzo dei prezzi di petrolio e gas naturale potrebbe, secondo lo strategist di Schroders, portare a un ritorno dell’inflazione in un contesto di frenata dell’economia.

“In uno dei nostri scenari – illustra Reed – ipotizziamo che, oltre alle frizioni commerciali, un ampliamento delle tensioni nella regione potrebbe far salire i prezzi del petrolio verso i 120 dollari al barile. La nostra simulazione prevede che l’economia globale si muoverebbe verso una stagflazione, dato che l’aumento dei costi energetici farebbe salire l’inflazione, col rischio di effetti secondari (data la rigidità dei mercati del lavoro) che peserebbero sulla crescita, costringendo le Banche centrali a rinunciare ai tagli dei tassi e, forse, anche a ulteriori rialzi”.

Finora i prezzi del petrolio non sono stati influenzati da quanto sta accadendo nel Mar Rosso, con il Brent che rimane sotto quota 80 dollari al barile.

Il grafico a linea mostra l\'andamento del petrolio dall\'ultimo trimestre del 2023. Nella prima parte del 2024, nonostante l\'acuirsi delle tensioni in Medio Oriente, le quotazioni rimangono sotto gli 80 dollari al barile
Il petrolio Brent rimane sotto quota 80 dollari al barile – Fonte: Bloomberg

 

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