L’eterna lotta tra investimenti growth e value, i due grandi stili di investimento azionario, ha visto il ritorno di interesse degli investitori per i secondi. Sono diversi i fattori che hanno portato alla svolta. I principali sono legati al rialzo dei tassi di interesse e al ritiro della liquidità in circolazione da parte delle Banche centrali. Con meno denaro disponibile e a costi più elevati le parti più rischiose del mercato sono rimaste a secco e lo stile growth ne ha sofferto.
Per Thomas Ognar, senior portfolio manager del Dynamic Growth Equity team di Allsping Global Investments, intervistato da Borsa&Finanza, questo non vuol dire che non ci siano occasioni negli investimenti growth. Al contrario proprio il riprezzamento a cui si è assistito ne ha create diverse, soprattutto nell’area delle società con capitalizzazione media e bassa.
Non è solo una questione di utili
Appare difficile credere che ci siano spazi di rendimento interessanti per il segmento azionario growth in uno scenario complesso come quello attuale. Le Banche centrali sono impegnate nel rialzare i tassi di interesse e nel ridurre la liquidità di mercato, la recente crisi bancaria porterà un irrigidimento nella concessione di crediti e finanziamenti, nei report di analisti e case di investimento è tornata a far capolino la parola recessione.
Eppure Ognar è convinto che si possa fare ancora bene: “Se guardiamo al riprezzamento del mercato azionario a cui abbiamo assistito nel corso dell’anno passato – prendendo come indice di riferimento il Russell 3000 statunitense – la causa più rilevante è stata il rialzo dei tassi di interesse, non un calo degli utili”.
Partendo da questa osservazione Ognar ritiene che le azioni siano oggi tornate a prezzare correttamente e che l’eventuale calo degli utili determinato dal rallentamento economico non riuscirà a cambiare questa situazione semplicemente perché verrebbe controbilanciato da una riduzione dei tassi di interesse.
Negli investimenti growth le società più dinamiche
Ma perché le società growth dovrebbero fare meglio in un contesto di rallentamento dell’economia? Il secondo elemento che Thomas Ognar porta a sostegno della sua tesi in favore dell’investimento growth è la maggiore dinamicità e flessibilità che caratterizza queste imprese che possono trovare aree di crescita più facilmente rispetto alle società value. E man mano che la capitalizzazione di mercato scende di dimensione, le opportunità di trovare società in grado di ricavarsi spazi interessanti per crescere aumenta.
È necessario tuttavia attuare un’attenta selezione per individuare le società con i fondamentali più solidi e in grado di resistere meglio a uno scenario in deterioramento: “Quello che dobbiamo domandarci in questo momento quando valutiamo una società – spiega Ognar – è come finanzierà la sua crescita. Avrà bisogno di finanziamenti o potrà farlo in autonomia? Noi cerchiamo imprese che abbiano bilanci solidi e che non debbano andare sul mercato a chiedere finanziamenti. Società capaci di generare cassa, operative in settori economici al riparo dagli impatti del rallentamento economico o addirittura della recessione”. Tra i settori a cui guarda di più il responsabile del team Equity Growth di Allspring GI ci sono la tecnologia, l’health care, i finanziari ad esclusione delle banche.
Le small cap devono recuperare terreno
Ognar, oltre a coordinare il team Dynamic Growth Equity gestisce il fondo Dynamic All Cap Growth Equity con oltre 3,8 miliardi di dollari di masse in gestione al 31 dicembre 2022. Il fondo investe in azioni di società “pure growth”, ossia che abbiano una crescita robusta e sostenibile ma non correttamente apprezzata dal mercato.
In questo momento, secondo il manager, è soprattutto nell’universo delle piccole e medie capitalizzazioni che si trovano più opportunità nell’ambito degli investimenti growth. “Storicamente – ha spiegato a Borsa&Finanza – dal 2007 le società small cap growth hanno scambiato a un premio medio del 7% sulle large cap growth. Attualmente scambiano con uno sconto del 20% sugli utili stimati. È il valore più basso degli ultimi sedici anni”.
Allargando l’orizzonte di osservazione, negli ultimi undici anni il tasso annuo composto di crescita (CAGR) dei ricavi delle big tech Amazon, Apple, Microsoft e Google è stato del 18%, quello dell’indice S&P500 si è attestato ad appena il 5%. Ora però il differenziale si sta restringendo come ha sottolineato Ognar: “Non ho mai visto nella mia carriera società mantenere un simile tasso di crescita così a lungo. Tuttavia, le proiezioni 2021-2024 vedono il CAGR delle big tech scendere al 9% mentre quello dell’S&P500 sale al 7%. Inoltre le azioni a piccola e media capitalizzazione non hanno vissuto il bull market che ha interessato le big”.
Anche nel 2023 il differenziale di andamento delle quotazioni sul mercato è stato finora sfavorevole alle piccole capitalizzazioni che, al 20 marzo, hanno registrato una performance positiva di appena il 2,2%, contro il +4,4% delle midcap e il 9,44% delle large. “In gran parte il differenziale si spiega con la rotazione verso i titoli difensivi e quindi la ricerca di sicurezza degli investitori. Tuttavia, se le cose dovessero migliorare, anche se non è detto che lo facciano, le opportunità sono migliori nell’area delle società con le dimensioni minori”. Il consiglio di Ognar è comunque di esporsi a tutti e tre i segmenti per ridurre la volatilità che deriverebbe da un peggioramento dello scenario.