Nell’ultimo anno l’inflazione ha avuto un influsso decisivo nella determinazione dei cali di rendimento di azioni e obbligazioni, attraverso due canali. Il primo riguarda il rialzo dei tassi d’interesse da parte delle Banche centrali, che ha determinato una riduzione del prezzo degli assets. Infatti, il costo del denaro più elevato ha comportato una risalita dei rendimenti. Ciò ha fatto sì che i bond quotati perdessero valore, in quanto i nuovi titoli emessi garantivano un ritorno superiore. Mentre per quel che riguarda le azioni, queste hanno perso appeal sia per via del fatto che non rappresentavano più gli unici assets con ritorni allettanti come nel periodo dei tassi a zero, sia perché le valutazioni azionarie basate sui flussi reddituali futuri attualizzati sono diventate meno preziose, utilizzando tassi più alti per lo sconto dei flussi.
Il secondo canale fa riferimento ai rendimenti reali, soprattutto in merito al reddito fisso. Ciò che le obbligazioni potevano garantire comportava un risultato reale nella stragrande maggioranza dei casi negativo, una volta decurtato il tasso nominale da un’inflazione così alta. La conseguenza di tutto questo è stata che negli ultimi 12 mesi azioni e obbligazioni hanno lasciato sui mercati perdite a due cifre.
Inflazione: ecco come sconfiggerla
Un fondo comune è riuscito a distinguersi tra le difficoltà generali e a battere il mercato. Si tratta del Fidelity Strategic Real Return Fund, gestito da Ford O’Neil. La strategia del fondo è quella di fornire rendimenti che, in un orizzonte temporale di 3-5 anni, riescono a superare il ritmo dell’inflazione. Prendendo i dati fino alla fine di agosto, il suo rendimento a un anno è stato del 2,7%. Gli assets su cui gli investimenti sono concentrati riguardano 4 categorie, che da dicembre 1973 a giugno 2022 hanno ottenuto un ritorno reale positivo nella stragrande maggioranza degli anni, secondo i dati forniti da Fidelity.
La prima categoria riguarda il debito a tasso variabile, che nel periodo indicato ha battuto l’inflazione nell’80% dei casi. Si tratta di prestiti bancari che le banche fanno ad aziende di bassa qualità, il cui rendimento è legato a un benchmark di breve termine che si azzera ogni 30-90 giorni. Tutto questo comporta che i titoli mantengono il loro valore durante i periodi in cui le Banche centrali aumentano i tassi per combattere l’inflazione, come è avvenuto in quest’ultimo anno.
La seconda classe concerne i TIPS, ovvero i titoli del Tesoro il cui rendimento è adeguato all’inflazione. Tali obbligazioni hanno un prezzo che ruota attorno al tasso di pareggio, ovverosia alla differenza tra il loro rendimento e quello dei Treasury tradizionali che riportano la stessa scadenza. Nel 75% del periodo sopra citato il rendimento reale è stato positivo.
La terza categoria include i titoli immobiliari, che hanno superato l’inflazione in termini di rendimento nel 70% delle volte. La logica dietro a questo investimento sta nel fatto che normalmente i fondi comuni di investimento immobiliare riescono a tenere il passo dell’inflazione, in quanto le società che possiedono e gestiscono immobili solitamente hanno una certa capacità di determinazione dei prezzi. Inoltre, quelle aziende che affittano le loro proprietà e stabiliscono contratti di locazione a lungo termine, adeguano il canone all’inflazione; mentre quelle che fanno contratti di breve termine poi aumentano i prezzi per il rinnovo qualora il costo della vita cresca.
L’ultimo asset che il fondo inserisce in portafoglio fa riferimento alle materie prime, che nel 59% dei casi hanno avuto un ritorno che ha fatto meglio dell’inflazione. O’Neil sottolinea come le categorie elencate nel CPI comprenda una quantità innumerevole di materie prime. Basti pensare alle utenze, alla benzina, al gas da riscaldamento e ai generi alimentari. Di conseguenza l’inflazione e il prezzo delle commodities tendono a muoversi a braccetto, come del resto è avvenuto in particolare nel 2022 a seguito della guerra Russia-Ucraina.