Nel giorno in cui gli Stati Uniti annunciano la svolta sulla “fusione fredda”, tecnologia che permetterà di ottenere energia illimitata e a basso costo, oltre alla speranza rimane all’umanità la consapevolezza di dover attendere ancora anni, se non decenni, prima di vedere questa moltiplicazione dei kilowatt e dei volt passare da miracolo a realtà. Nel frattempo c’è da coprire un deficit di energia senza dilapidare più di quanto finora si sia fatto il capitale ambientale messo a disposizione dal pianeta Terra. Tra le forme più promettenti e già utilizzate c’è l’idrogeno, sul quale negli ultimi mesi c’è stato un grande fermento. “L’idrogeno è l’unica energia che ci può permettere di raggiungere il target di emissioni nette zero – ha commentato Massimiliano Comità, portfolio manager di AISM Luxembourg – e di decarbonizzare i settori ad alto impatto di emissioni come trasporto pesante, acciaio, cemento, raffinazione, fertilizzanti, e così via”.
Investimenti in aumento
Pur essendo l’idrogeno l’atomo più diffuso sulla terra, la sua molecola (H2) si può ricavare solo da altri composti. A seconda di come venga prodotta si otterrà idrogeno grigio, blu o verde. “Oggi – ha spiegato Comità – l’idrogeno grigio è il più diffuso. Viene prodotto a partire dal gas metano ed emette CO2 in atmosfera. Se questa anidride carbonica viene catturata e inserita in pozzi svuotati da gas o petrolio si passa ad avere l’idrogeno blu”.
L’obiettivo è arrivare all’idrogeno verde, ottenuto dall’elettrolisi dell’acqua utilizzando come energia di produzione il solare o l’eolico. Perché già non lo si fa? Risponde il portfolio manager di AISM Luxembourg: “Oggi il 99% dell’idrogeno prodotto è grigio. Il motivo è il prezzo: 1,5$/Kg per quello grigio, quello blu ha lo stesso costo maggiorato del prezzo di cattura della CO2, stimato in 0,5$/Kg, fino al verde che supera anche i 5$/Kg”.
Per colmare il divario di costo Stati Uniti, Europa e Cina stanno investendo sulle rinnovabili. L’Inflation Reduction Act dell’amministrazione Biden mette a disposizione 470 miliardi di dollari per le rinnovabili di cui 13 destinati allo sviluppo dell’idrogeno verde. A questa somma si aggiungono i 7 miliardi di dollari messi a disposizione dal Dipartimento dell’energia Usa per creare un hub dell’idrogeno negli Stati Uniti. L’Europa ha messo a disposizione della ricerca sull’idrogeno verde e sul potenzialmente delle risorse rinnovabili per la produzione 5,2 miliardi di dollari e altri 7 sono attesi dall’investimento privato. La Cina, infine, ha messo sul piatto 20 miliardi di dollari.
Investimenti in idrogeno: cosa succede in Borsa
Sulla traiettoria futura del settore ci sono pochi dubbi, come ricorda Comità: “L’accelerazione dei governi verso la decarbonizzazione aumenterà la domanda mondiale di idrogeno verde nei prossimi anni. Le stime che si possono leggere un po’ ovunque sul web sono le più disparate, tutte comunque concordi su una crescita di diversi multipli da qui al 2050”.
Meno certezza c’è sui cavalli vincenti, ossia su quelle società che potranno beneficiare dello sviluppo dell’idrogeno verde. Anche perché, sull’onda delle prospettive di un utilizzo sempre maggiore di questa molecola in campo energetico, si è mossa anche la speculazione. “Questa crescita esasperata fa ‘ballare’ le società in borsa come palline da flipper che, a seconda del sentiment, possono guadagnare o perdere il 50% in poche sedute” avverte Massimiliano Comità, che prosegue: “Del resto, parliamo di società che attualmente hanno cash flow negativo e lo avranno per i prossimi due, tre anni, proprio per gli ingenti investimenti in corso. In tempo di rialzo dei tassi, le stesse potranno soffrire, anche se tutti gli amministratori delegati e i direttori finanziari delle società legate a questo settore sono galvanizzati dall’opportunità che vedono per il prossimo futuro e oltre”.
Tra gli esempi che il gestore di AISM Luxembourg ha proposto a Borsa&Finanza per dimostrare quanto la molecola dell’idrogeno debba essere maneggiata con cura in Borsa, c’è NEL ASA, una società di media capitalizzazione (2,5 miliardi di euro) leader nel settore. “Ha guadagnato il 50% in tre sedute dopo l’invasione russa dell’Ucraina, poi in quattro sedute ha perso il 20% ed è risalita ancora del 50% nelle tre sessioni successive”. Ci sono altri esempi di società altamente infiammabili in Borsa: Ceres Power, una delle più importanti società per fuel cell allo stato solido, Powercell, Plug Power.
Il consiglio finale di Massimiliano Comità per chi non voglia farsi mancare un po’ di idrogeno nel portafoglio di investimenti è che, volendo contenere la volatilità “il peso non superi l’1,5%-2% sulle società a piccole a media capitalizzazione. Questa è la presenza che noi abbiamo nei nostri portafogli. Ci sono poi società a grande capitalizzazione che non sono interamente dedicate all’idrogeno ma che hanno una parte del business dedicato al tema, per esempio Air Liquide con l’11% e Linde con l’8%. Con questa seconda categoria di società il peso che abbiamo in portafoglio arriva oltre il 5%.