Nell’ultimo anno, lo spread di rendimento tra i titoli di Stato decennali della Francia e quelli della Germania ha attirato l’attenzione degli investitori e degli analisti economici. Oggi il differenziale di rendimento tra gli Oat e i Bund torna al centro della scena dopo la nomina del nuovo governo (di minoranza), guidato da Michel Barnier. Come sa bene l’Italia, lo spread con i titoli tedeschi è considerato un indicatore cruciale della percezione del rischio Paese. Questo differenziale ha registrato per la Francia un aumento sensibile portandosi vicino al livello di spread della Spagna, considerata fino a pochi mesi fa una nazione meno affidabile. Il confronto diretto tra Oat e Bonos certifica il movimento, mostrando un differenziale ridotto ai minimi termini.

L’accoglienza al governo Barnier
Il restringimento dello spread tra titoli di Stato francesi e spagnoli (e l’allargamento del primo nei confronti del Bund) è indice dell’accoglienza riservata dal mercato finanziario alla nascita del nuovo governo guidato da Michel Barnier. Un governo di minoranza che vede la presenza di 7 ministri “macroniani”, 3 dei Republicains, 2 indipendenti di destra, 2 appartenenti al Movimento democratico, un indipendente di sinistra, uno del partito Horions dell’ex primo ministro Edouard Philipe e 1 di Liot, rappresentante quest’ultimo i francesi d’oltremare.
Un gruppo composito che dovrà affrontare l’opposizione dei due partiti che più hanno guadagnato terreno nell’ultima tornata elettorale: Rassemblement National di Marine Le Pen e il Nouveau front populaire di Jean-Luc Melenchon.
L’accoglienza del mercato non poteva che essere molto prudente. Il compito che attende il nuovo governo potrebbe essere troppo grande per le sue forze. In particolare, Barnier e suoi due ministri dell’Economia, esordienti entrambi, Antoine Armand di 33 anni, e Laurent Saint-Martin di 39 anni – il secondo ministro del Budget in supporto al primo – dovranno fermare il dissanguamento in corso delle finanze statali francesi. “Dobbiamo mantenere la credibilità della Francia” ha detto Barnier a France 2, mentre Armand ha chiamato i francesi a uno sforzo d’altri tempi. Il trend del debito pubblico francese, cresciuto di 900 miliardi di euro a partire dal 2017 (dati Ue), necessita di essere fermato.
Francia: il disastro finanziario
Il debito pubblico francese ha superato quest’anno i 3.000 miliardi di euro (3.159 a marzo), superando quello italiano che nel primo trimestre si è attestato a 2.894 miliardi di euro. La Germania segue a 2.635 prima della Spagna a 1.613 miliardi di euro. Il dato assoluto va però confrontato con la grandezza dell’economia. La classifica vede, sempre in relazione ai dati del primo trimestre dell’anno:
- Italia 137,7% del PIL;
- Francia 110,8% del Pil;
- Spagna 108,9% del PIL;
- Germania 63,4% del PIL.
Purtroppo per la Francia il rapporto debito/PIL è destinato a peggiorare ancora. Il Paese ha mancato gli obiettivi di rapporto deficit/PIL nel 2023 (5,5% da 4,9%) e anche quest’anno potrebbe superare il 5%. La Spagna, per contro, è vicina alla soglia limite imposta dagli accordi di Maastricht. Nel 2023, secondo le Statistiche della Banca d’Italia, il deficit/Pil della Spagna si è attestato al 3,5%. La conseguenza è la Procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea nei confronti di Italia e Francia a giugno, mentre, considerate le misure introdotte dal governo spagnolo guidato da Pedro Sanchez, la Commissione non ha ritenuto di dover attivare le medesime misure verso la Spagna.
Le agenzie di rating attendono al varco la Francia
Il Progetto di legge di bilancio francese arriverà a Bruxelles in ritardo. Atteso per l’inizio del mese di ottobre, con il governo appena formato sarà impossibile rispettare la scadenza. Non è così grave, almeno a fronte della difficoltà di approntare una manovra di svolta. Saint-Martin ha dichiarato che occorreranno scelte forti ma si scontrerà con i responsabili degli altri dicasteri, la cui disponibilità a vedere decurtati i loro bilanci di spesa non sarà totale.
Forse anche per questa ragione, per evitare che le acque si agitino, Armand ha avvertito di non voler essere il ministro “della confisca fiscale”, un concetto assimilabile ai “tagli lineari” alle disponibilità dei Ministeri. Armand non ha escluso tuttavia, tagli eccezionali e mirati. Se ne saprà di più il primo ottobre quando sono attese le dichiarazioni di politica generale del nuovo governo.
Nel frattempo le agenzie di rating aspettano la Francia al varco. Al momento la loro fiducia nella solidità del Paese transalpino non è stata scossa più di tanto. DBRS ha confermato venerdì scorso il rating AA (high) con outlook stabile. “L’elevata flessibilità finanziaria della Francia, la forte gestione del debito e le sue forze economiche supporteranno il suo (della Francia) standing creditizio in un contesto di traiettoria fiscale sfidante” hanno scritto gli analisti di DBRS nel comunicato.
Morningstar DBRS prevede una graduale riduzione del deficit nel tempo, con il quadro di governance economica europea giudicato un importante fattore mitigante per un ritardo significativo nel miglioramento delle finanze pubbliche. Sulla frammentazione politica dell’Assemblea nazionale, gli analisti di DBRS avvertono che “potrebbe ritardare notevolmente una efficace consolidazione fiscale e quindi monitorerà come questo nuovo assetto politico influenzerà le prossime decisioni fiscali ed economiche, inclusa la legge di bilancio 2025. Morningstar DBRS farà inoltre attenzione al percorso fiscale che verrà svelato nel prossimo piano fiscale-strutturale a medio termine della Francia”.
Le altre agenzie di rating si pronunceranno nei prossimi mesi. La prima sarà Fitch, seguita da Scope. Chiuderanno Moody’s ed S&P’s. Ecco il calendario con i rispettivi rating:
- 11/10 Fitch: AA-
- 18/10 Scope ratings: AA
- 25/10 Moody’s: Aa2
- 29/11 S&P’s: AA.