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Euro al tappeto e potrebbe scendere ancora. Con quali conseguenze? – BorsaNews24

2025/02/18 1

L’ultima volta che sui mercati valutari si parlò di possibile parità tra euro dollaro era il primo gennaio 2017, quando il cambio eur/usd arrivò a 1,03. Oggi, dopo cinque anni e mezzo ci risiamo e nella seduta di ieri l’euro è sceso fino a toccare 1,026 contro il biglietto verde, un record negativo passibile di essere ritoccato. E quindi, ancora una volta, investitori e analisti valutari si domandano se stavolta, la mitica parità verrà raggiunta.

 

Euro, una discesa lunga e precipitosa

Lo sgonfiamento della valuta unica europea è iniziato nel maggio 2021, quando il cambio con il dollaro USA navigava sopra 1,226. Oltre sedici punti percentuali in meno, dei quali circa 9 persi da inizio 2022. Il movimento disegnato ieri dal cambio mostra quanta sia la convinzione del mercato. In una sola seduta, infatti, la valuta unica si è svalutata di quasi un punto e mezzo percentuale. Un movimento eccezionale per un mercato come quello valutario. Quindi, ci siamo?

Non sarà semplice rompere al ribasso una soglia psicologica come quella della parità. Ma c’è chi è convinto che si potrà fare. Gli analisti di Nomura, in un recente report affermano che il ribasso registrato oggi sul cambio eur/usd sia un segnale di allarme e un antipasto rispetto a quanto potrebbe succedere se il Nord Stream 1, il gasdotto che porta il gas dalla Russia in Germania, venisse chiuso del tutto.

“Riteniamo – scrivono gli analisti di Nomura – che la parità potrebbe cadere ad agosto e che si potrebbero verificare discese fino a 0,95”.

 

Il problema energetico dell’Europa

La malattia della valuta unica viene da lontano. Dalla mancanza di una politica energetica in grado di ridurre la dipendenza dalle importazioni di energia dall’estero, in particolare dalla Russia. Si prenda per esempio l’Italia che, come spiega il governo nel Documento di economia e finanza, ha aumentato le forniture di gas dalla Russia del 19,7% tra il 2013 e il 2021 con un incremento della dipendenza dalle importazioni russe salita dal 37,1% al 46,6%. Il tutto nonostante la diversificazione delle fonti fosse un obiettivo già stabilito.

Tuttavia, non è l’Italia il paese più in difficoltà, bensì la Germania. La chiusura del Nord Stream 1 per “manutenzione”, secondo quanto indicato dalle autorità russe, potrebbe durare ben più a lungo del periodo previsto (11-21 luglio). Già ora il passaggio del gas è ridotto del 60%. Per gli analisti di Nomura la Germania rischia un razionamento del gas (ma anche l’Italia) nel prossimo inverno. Come conseguenza la macchina industriale potrebbe essere costretta e frenare o fermarsi.

“Ciò impatterebbe con forza sulla bilancia commerciale tedesca e di conseguenza di tutta l’area dell’euro” commentano da Nomura.

 

Euro più basso, competitività più alta

Il campanello d’allarme è in realtà già suonato. A maggio la bilancia commerciale tedesca è risultata in deficit per un miliardo di euro per la prima volta dal 1991. In questo caso, tuttavia, la colpa non è ascrivibile a un blocco delle attività produttive per razionamento energetico quanto piuttosto alla crescita dei prezzi delle importazioni (in particolare energia). Gli analisti di Nomura notano che, a fronte delle interruzioni nelle catene di produzione causate dalle sanzioni alla Russia e dalla guerra in Ucraina e di un costo dell’energia che è sette volte superiore a quello degli Stati Uniti, per rimanere competitiva l’industria europea avrebbe addirittura bisogno di un euro a 0,65.

Un euro sotto la parità con il dollaro USA quindi non dovrebbe sorprendere più di tanto. All’inizio della sua “carriera” la valuta unica scivolò fin sotto 0,84 contro il dollaro USA. Certamente, una discesa rapida come quella a cui si assiste in queste settimane, sarebbe più difficile da gestire. In special modo in un periodo di crescita elevata dei prezzi al consumo una valuta debole importerebbe inflazione dall’estero costringendo la BCE a essere ancora più rigida.

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