In alcuni Stati, come la Georgia, si è già votato e il voto postale è stato avviato da parecchie settimane. Sarà tuttavia il Super Tuesday del 5 novembre il giorno più atteso delle elezioni USA. Secondo i sondaggi, Kamala Harris conserva un vantaggio ridotto all’1%, con Donald Trump in recupero. Sui siti di betting sembra invece esserci un maggiore afflusso di puntate sul candidato repubblicano. Infine, negli Stati in bilico, mentre l’esponente democratica è in leggero vantaggio in Pennsylvania e Michigan, Trump è davanti in Arizona e Georgia (in quest’ultima si è già votato), mentre in Wisonsin al momento nessuno dei due contendenti riesce a prevalere.

Dunque sarà testa a testa tra Kamala Harris e Donald Trump, con il rischio peggiore per i mercati finanziari rappresentato da una contestazione del voto, molto più probabile in caso di vittorie di misura. Sarebbe lo scenario peggiore, mentre per quanto riguarda gli altri esiti, ecco le posizioni degli strategist delle case di investimento:
- Elezioni USA: se vince Trump
- Elezioni USA: se vince Harris
- Governo diviso
- Quando valgono davvero le elezioni USA?
Elezioni USA: se vince Trump
Donald Trump è in generale visto come il “beniamino” del mercato azionario per le sue posizioni a favore di una maggiore deregolamentazione. Tuttavia, un’analisi più approfondita mette in luce alcuni aspetti della “dottrina Trump” che potrebbero avere dei riflessi negativi. In particolare potrebbe tornare lo spauracchio dell’inflazione, quasi sconfitta e con molta fatica dalla Federal Reserve. “In caso di vittoria di Trump è lecito aspettarsi politiche più inflazionistiche” spiega Andrea Delitala, responsabile Investment advisory di Pictet AM. Le fonti di questa inflazione sarebbero le seguenti, secondo Raphael Gallardo, capo economista di Carmignac:
- Protezionismo (dazi e tariffe sulle importazioni);
- Tagli alle tasse per imprese e famiglie;
- Restrizioni all’immigrazione ed espulsioni;

Per contro avrebbe effetti deflazionistici la deregolamentazione dei settori, un altro cavallo di battaglia del magnate repubblicano, così come l’aumento di spesa a favore dei combustibili fossili. Secondo Gallardo, i prezzi al consumo potrebbero accelerare dell’1,1% e spingere la Fed a interrompere il taglio dei tassi di interesse a inizio 2025, decisione che Trump non gradirebbe. Verrebbero rispolverate, quindi, le tensioni con la guida della Federal Reserve, Jerome Powell.
Un successo di Trump nelle elezioni USA, come conseguenza, “aumenterebbe l’appetibilità dei titoli di Stato USA legati all’inflazione” afferma Delitala. La curva dei rendimenti si sposterebbe verso l’alto, in maggior misura sul lungo termine, un fattore che per Kevin Thozet, membro del Comitato investimenti di Carmignac, deve essere considerato con attenzione viste le prospettive attuali determinate da quanto detto e fatto finora dalla Fed. Un aumento dei rendimenti obbligazionari potrebbe appesantire Wall Street.
Anche sul mercato azionario le prospettive cambierebbero, secondo Delitala. Se ci fosse un cosiddetto Trump sweep alle elezioni USA, ovvero una vittoria di Donald Trump e una maggioranza repubblicana al Congresso, le trascurate small cap riprenderebbero vigore a scapito delle grandi multinazionali. Anche il settore delle energie ne sarebbe favorito, così come quello finanziario. Inoltre i produttori di beni di consumo beneficerebbero di un ciclo prolungato dai tagli delle tasse. Trump, secondo Thozet, vorrebbe dire anche più tensioni commerciali con la Cina, cosa che potrebbe mettere in difficoltà le catene di fornitura di grandi aziende come Nvidia o Apple.
Elezioni USA: se vince Harris
Le società farmaceutiche finiscono spesso al centro dell’attenzione nel dibattito per le elezioni presidenziali statunitensi. Quest’anno si è parlato meno del prezzo dei farmaci ma Andrea Delitala di Pictet ritiene che, con un’affermazione democratica sia alla presidenza che al Congresso, non scamperebbero all’imposizione di prezzi controllati. Come conseguenza, “le società farmaceutiche verrebbero impattate negativamente”.

Per Gallardo di Carmignac, il concetto fondamentale con cui la candidata democratica si presenta alle elezioni USA è il “tassa e spendi, che prevede 5-7 mila miliardi di dollari in dieci anni di tagli alle tasse e spesa assistenziale per la classe media, finanziati dalle imposte sul reddito societario”. Anche in caso questo programma venisse annacquato (non sono completamente favorevoli i democratici moderati) si può comprendere perché Wall Street abbia una leggera preferenza per Donald Trump.
“Ci aspettiamo un impatto negativo del -6% sulla crescita degli utili per azione nel 2025 a causa dell’aumento dell’imposta sulle società dal 21% al 28%. Tali misure potrebbero anche pesare sui multipli di valutazione. Attualmente la media delle azioni nell’S&P 500 viene valutata a 22 volte gli utili del prossimo anno, probabilmente riflettendo i margini di profitto eccezionali delle società statunitensi. Un’imposta sulle società del 28% porrebbe gli Stati Uniti al livello di Paesi come l’Olanda, il Canada o la Francia, dove le valutazioni medie sono 7 volte inferiori rispetto ai loro omologhi statunitensi” spiega, in termini numerici, Thozet.
Tra i settori che potrebbero beneficiare di una presidenza Harris ci sono i beni di consumo di prima necessità, favoriti dalla riduzione fiscale per le classi medie e basse, il mercato delle costruzioni che beneficerebbe dei piani per costruire milioni di unità abitative e assistere gli acquirenti con depositi, il comparto dell’assistenza sanitaria e delle energie rinnovabili. Con un’amministrazione democratica, infine, il mercato obbligazionario potrebbe subire meno contraccolpi, visto che l’impatto sul debito USA è stimato inferiore. Uno studio del Comitato per un Budget responsabile stima la crescita del debito pubblico nel prossimo decennio a 7.500 miliardi di dollari sotto una presidenza Trump e a 3.500 sotto una presidenza Harris.
Governo diviso
Nell’ipotesi di governo diviso, almeno un ramo del Parlamento USA verrebbe controllato dalla parte avversa al presidente eletto. Non è detto che questa sia un’evenienza negativa, in quanto implicherebbe il raggiungimento di un compromesso fiscale tra repubblicani e

democratici, smussando le punte estreme delle due proposte. Spiega Thozet: “A prescindere da chi otterrà la presidenza, l’aumento della probabilità di una nuova situazione di stallo potrebbe, contro-intuitivamente, risultare in un contesto di mercato positivo, in quanto porterebbe a un’ulteriore immissione di liquidità nel sistema, con il Tesoro statunitense che farebbe ricorso al suo conto generale presso la Fed. Allo stesso modo, data la difficoltà di un governo ‘zoppo’ a varare importanti misure di sostegno fiscale, la Fed dovrebbe fare la maggior parte del lavoro, senza doversi preoccupare della pressione inflazionistica”.
In questo caso potrebbero essere favorite le strategie growth che non dipendono dal ciclo economico mentre i settori più legati a spesa pubblica e regolamentazione, così come quelli che si appoggiano sulla spesa dei consumatori (servizi finanziari) resterebbero indietro. Le infrastrutture, invece, a causa della loro necessità riconosciuta da entrambi gli schieramenti politici, potrebbero ricevere un sostegno intermedio bipartisan.
Quanto pesano davvero le elezioni USA?
Oggi, stando ai sondaggi, è molto difficile prevedere chi la spunterà tra Kamala Harris e Donald Trump. Ancora più difficile è capire se il vincitore avrà dalla sua parte anche il Congresso o se si assisterà all’avvento di un governo diviso, per nulla raro negli USA.
“Affidarsi alle promesse elettorali per prevedere il futuro può presentare numerose sfide” chiarisce subito Christophe Nagy, gestore del fondo Comgest Growth America, secondo il quale, “in alcuni casi i candidati fanno l’esatto contrario una volta al potere”. L’asset manager cita alcuni esempi:
- Nella campagna elettorale del 2020 Barack Obama promise di ridurre l’utilizzo di combustibili fossili ma sotto la sua presidenza la produzione di petrolio negli USA ha raggiunti livelli storici;
- Donald Trump si concentrò sulla riduzione del debito pubblico nel 2016 ma nel corso del suo mandato l’indebitamento USA salì da 19.000 a 27.000 miliardi di dollari.
Piuttosto che andare a cercare i beneficiari della vittoria dell’uno o dell’altro colore politico, per Nagy è meglio focalizzarsi su società con fondamentali solidi e forti vantaggi competitivi, che possano beneficiare dei trend di crescita secolari di lungo termine. Tra queste healthcare e software. Tuttavia, il gestore di Comgest teme l’effetto delle politiche anti-immigrazione che potrebbero essere adottate da Donald Trump: “Tendiamo a evitare settori ciclici e ad alta intensità di manodopera” conclude.
Ancora più netto è Philip Vorndan, partner di Flossbach von Stoch, che consiglia “di non prestare troppa attenzione” alle congetture su chi governerà gli USA per i prossimi quattro anni e quali società saranno favorite. La sua raccomandazione è di selezionare le buone aziende, con modelli di business interessanti e redditizi nel tempo. Chiunque vinca, l’obiettivo sarà “America First”, secondo Vorndan che conclude: La competitività dell’economia statunitense è sacra per entrambi gli schieramenti politici”.