Il primo semestre del 2022 verrà ricordato a lungo dagli investitori in azioni americane, in quanto era dal 1970 che non si conosceva un sell-off così aggressivo; lo stesso non può dirsi riguardo il dollaro USA. La valuta statunitense ha guadagnato posizioni contro tutte le principali divise in questo lasso di tempo, con il Dollar Index salito di oltre il 10%. Solitamente, se le azioni a Wall Street crollano perché l’economia americana vacilla, ne risente anche la moneta che la rappresenta. In realtà, questa volta la storia è un po’ diversa.
La caduta dei mercati azionari ha in realtà un unico vero motore: la Federal Reserve. Tutto il resto è di contorno. Quando l’inflazione negli Stati Uniti ha iniziato a galoppare e la Banca Centrale USA non ha potuto fare altro che inasprire la politica monetaria, gli investitori hanno cominciato a vendere le azioni in Borsa. Tutto questo per il dollaro USA ha innescato due correnti rialziste molto forti.
La prima derivante dall’aumento dei tassi d’interesse. Il costo del denaro più alto significa che gli investitori prediligono maggiormente gli assets denominati in dollari che quelli espressi in altre valute, con la conseguenza che aumentano la richiesta di monete statunitensi e quindi del loro prezzo.
La seconda che scaturisce dal pericolo di una recessione, o ancora peggio di una stagflazione. Con un’inflazione arrivata all’8,6%, la Fed dovrà alzare di molto i tassi, il che significa che le probabilità di una forte flessione dell’economia crescono, così come quelle che i prezzi al consumo non vengano abbassati abbastanza, dipendendo soprattutto da cause che interessano più l’offerta e meno la domanda. La convivenza di scarsa crescita e inflazione, ovvero la stagflazione, determina incertezza e quindi l’acquisto di dollari come bene rifugio. Il biglietto verde infatti è la valuta più scambiata e con le maggiori riserve al mondo. È chiaro quindi che, in una situazione di instabilità e paura che si estende a livello globale, gli investitori si rifugiano nelle valute più forti.
Dollaro USA: cosa ha significato per le aziende USA il rally di quest’anno
La straordinaria forza del dollaro USA in questa prima metà dell’anno ha avuto delle conseguenze importanti. Diverse aziende americane che producono la gran parte dei profitti all’estero sono state danneggiate e hanno dovuto rilevare una riduzione degli utili per il fattore cambio. Sì, perché la valuta straniera ottenuta dal pagamento della merce venduta comporterà la ricezione di meno dollari quando verrà convertita in moneta nazionale.
Un dollaro USA troppo forte ha svantaggiato tremendamente gli importatori non americani di materie prime, essendo che queste vengono espresse in dollari. Quindi, non solo le aziende hanno dovuto sostenere il salasso del rally dei prezzi alimentato dalla guerra Russia-Ucraina; ma a questo si è aggiunto anche lo scotto pagato nel procurarsi dollari per effettuare il pagamento. Alla lunga anche gli esportatori USA vengono danneggiati, perché i prodotti diventano meno competitivi nel momento in cui la forza della moneta fa aumentare i prezzi di chi acquista.
Dollaro USA: ha raggiunto il picco?
Tutto questo certamente sarà tenuto in considerazione a lungo andare dalla Federal Reserve, per quanto per ora l’istituto centrale rimanga saldamente concentrato ad abbattere l’inflazione. Non sono pochi gli analisti di Wall Street al riguardo che ritengono che il dollaro USA abbia raggiunto il picco e che perderà valore entro settembre. Tutto dipende da quanto l’inflazione si raffredderà e dal conseguente percorso della Fed.
Questa settimana JP Morgan ha condotto un sondaggio tra i grandi investitori e oltre il 40% ha risposto che il Dollar Index chiuderà l’anno più o meno a questi livelli, mentre il 36% ha affermato che scenderà. “Il cambio estero non è un mondo lineare. Ad un certo punto, le cose si capovolgono”, ha affermato Ugo Lancioni, responsabile della valuta globale di Neuberger Berman.