Il dollaro USA è tornato a mostrare i muscoli nel mercato delle valute. Dai recenti minimi, la moneta americana è risalita energicamente e quest’anno ha guadagnato circa l’1% rispetto a un paniere di valute comprese nel Dollar Index. Il ritmo tenuto dal biglietto verde è lontano rispetto a quello del 2022, in cui il profitto era stato dell’8%. La sua ripresa però è un segnale che non può essere sottovalutato.
Lo scorso anno una serie di rialzi dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve per contrastare l’inflazione ha spinto gli investitori a comprare in massa dollari americani grazie al rendimento maggiore. Inoltre, la situazione di incertezza globale a livello geopolitico con la guerra Russia-Ucraina, economico con la crisi energetica e finanziario con il crollo dei mercati, ha rivalutato il dollaro USA nella sua veste di bene rifugio.
A partire dall’ultima fase del 2022 e per tutto il mese di gennaio, la situazione nel mercato valutario si è rovesciata, grazie al raffreddamento dell’inflazione che ha dato forza all’ipotesi di un rallentamento dell’inasprimento monetario della Fed tenuto fino a quel momento. Un’inflazione che si è rivelata però ostica e un’economia statunitense eccezionalmente resiliente, secondo i dati macro più recenti, hanno cambiato ancora la prospettiva, con il mercato che ora è tornato a scontare una Banca centrale aggressiva. Da questo si spiega la risalita del dollaro.
Dollaro USA: ecco cosa comporta la ritrovata forza nei mercati
La valuta USA nuovamente alla ribalta sta agitando le acque nei mercati finanziari. Non solo la Borsa americana, ma anche le azioni europee e dei mercati emergenti hanno perso terreno in un febbraio che si è mostrato molto incerto. “Un dollaro più forte rappresenta un problema per gli asset rischiosi”, ha affermato Lauren Goodwin, economista e stratega di portafoglio presso New York Life Investments.
Il dollaro USA forte rappresenta un grosso problema per le aziende statunitensi, sia perché fa perdere di competitività ai prodotti esportati all’estero, sia perché rende meno preziosi i profitti delle multinazionali prodotti fuori dal territorio americano. Su quest’ultimo aspetto, molte grandi aziende come Apple, Microsoft, Google e Amazon hanno pagato lo scotto lo scorso anno dell’effetto cambio nelle trimestrali pubblicate. Secondo gli analisti di Morgan Stanley, le direzioni del dollaro potrebbero essere un fattore chiave per la traiettoria a breve termine delle azioni statunitensi. “Se i tassi e il dollaro USA continuano a salire, riteniamo che i livelli chiave di supporto per le azioni cederanno rapidamente il passo quando l’orso riprenderà con più forza”, hanno scritto.
La forza del dollaro è un grosso guaio anche per l’Europa, affamata di materie prime come il petrolio e i beni alimentari. Questo perché, essendo le commodity denominate in dollari, le aziende del Vecchio continente dovranno spendere di più per procurarsi monete americane per pagare le merci. “Parte del calo del 2% da inizio anno del greggio Brent può essere ricondotto al rimbalzo del dollaro”, hanno scritto gli analisti di UBS Global Wealth Management.
Quanto ai Paesi emergenti, questi dovranno affrontare il problema del debito preso in prestito nella valuta statunitense, in quanto aumenta l’onere derivante dal cambio a causa delle quotazioni più alte del dollaro. Tuttavia, questo per Emily Leveille, gestore di portafoglio di Thornburg Investment Management, sarà un fattore temporaneo. “Qualsiasi debolezza nei mercati emergenti sarà un’opportunità di acquisto”, ha affermato Leveille.
Le aspettative in generale non sono però molto confortanti, con un’economia globale che rischia una recessione e un senso di incertezza generale che avvolge i mercati. “Ci aspettiamo che la propensione al rischio si deteriori in questo contesto globale indebolito e la domanda di beni rifugio spingerà il dollaro al rialzo nei prossimi due trimestri”, sostengono gli analisti di Capital Economics.