Il mercato dei diamanti ha subito un profondo cambiamento negli ultimi anni. Le pietre preziose destinate alla gioielleria sono in forte recessione perché i consumatori stanno acquistando diamanti prodotti in laboratorio, il cui prezzo è crollato. Secondo un’analisi effettuata da Paul Zimnisky, analista indipendente del settore, i prezzi dei preziosi da laboratorio sono scesi di circa l’80% rispetto al 2016, a 1.015 dollari per pietra da un carato. Il diamante naturale invece è sceso di quasi il 30% a 5.000 dollari a carato rispetto al 2022, segnando una delle più grandi cadute dell’ultimo quarto di secolo. Ciò nonostante le quotazioni sono quasi cinque volte quelle delle pietre prodotte in laboratorio.
Come conseguenza, i margini di profitto dei rivenditori sono calati sulle pietre da laboratorio. La redditività più bassa “potrebbe essere un catalizzatore per il ritorno ai diamanti naturali – secondo Zimnisky -. I rivenditori non sono fedeli ai diamanti coltivati in laboratorio o naturali, sono fedeli a fare soldi” ha affermato. Per quest’anno l’esperto prevede che le vendite dei diamanti fabbricati saliranno a 13,6 miliardi di dollari, registrando un incremento del 12% rispetto al 2023, proprio per via della riduzione dei costi. Viceversa, i gioielli con diamanti provenienti dalle miniere vedranno una contrazione delle vendite del 5% a 69,9 miliardi di dollari. Oggi, il mercato dei diamanti è così ripartito: 84% grezzi e 16% prodotti in laboratorio.
Diamanti: come si stanno muovendo le imprese di fronte alla crisi
I grandi player del mercato dei diamanti stanno cercando di ricorrere a misure per far fronte alle condizioni non entusiasmanti in cui si trovano a operare. De Beers – il più grande minatore al mondo di diamanti – ha annunciato un taglio della produzione a causa del calo della domanda. Il colosso britannico prevede che la quota dei diamanti prodotti in laboratorio precipiterà di un quinto a 10 miliardi di dollari entro la fine del decennio, perché i consumatori cominceranno a vederli non più come pietre preziose con il calo dei prezzi, bensì come gioielli economici. Nello stesso periodo, il gruppo stima che i diamanti grezzi avranno un aumento delle vendite fino a 54 miliardi di dollari da 43 miliardi di dollari del 2023 nel mercato statunitense.
Per cercare di rilanciare i diamanti naturali, l’azienda sta intraprendendo un’aggressiva campagna di marketing, ad esempio con le gioiellerie Chow Tai Fook e Signet. Queste mettono delle etichette all’esterno dei negozi con l’avvertimento che le pietre coltivate in laboratorio si deprezzano rapidamente. Inoltre De Beers ha in programma di vendere macchine del valore di 10.000 dollari che consentono ai consumatori di individuare un diamante naturale rispetto a uno di fabbrica.
La crisi del mercato dei diamanti ha spinto Anglo American, proprietario di De Beers, ad annunciare la vendita della società o la quotazione in Borsa entro 18 mesi, di fronte all’OPA poi fallita da 39 miliardi di sterline del gigante minerario australiano BHP. La controllata di De Beers, Element Six, produttore di pietre sintetiche, si sta ora concentrando sulle applicazioni ad alta tecnologia che riguardano i wafer di diamante per i chip al fine di incrementare i ricavi. La russa Alrosa, seconda per dimensioni alle spalle di De Beers, ha provato a risolvere il problema della crisi dei diamanti diversificando sull’oro. Al riguardo, ha acquistato Polys, miniera d’oro con sede a Mosca.
Uno dei minatori più piccoli in difficoltà è Petra Diamonds, società quotata a Londra. Come ha riferito l’amministratore delegato dell’azienda, Richard Duffy, il modo per reagire alla crisi è quello di puntare sugli elementi distintivi attraverso un messaggio pubblicitario efficace. “La nostra sfida nel settore dei diamanti naturali è quella di guidare il marketing intorno a ciò che ci differenzia dai diamanti coltivati in laboratorio, ovvero che i nostri prodotti sono rari, vecchi di miliardi di anni e duraturi”.
