Come scoprire se un ETF è liquido? Approfondiamo una delle tematiche più importanti inerenti il mondo degli investimenti. Si tratta di un fattore importante in quanto più questa variabile è bassa e maggiori sono i costi occulti sostenuti dall’investitore.
Uno dei cosiddetti costi occulti degli ETF è rappresentato dallo spread tra denaro e lettera che l’investitore deve sostenere nel momento di una compravendita. Lo spread bid/ask, come viene chiamato da molti operatori, rappresenta un fattore irrilevante per gli ETF con maggiore capitalizzazione di mercato (ad esempio iShares Core MSCI World oppure Vanguard FTSE All Country World), mentre è un elemento particolarmente impattane su tutti quegli ETF tematici o comunque di nicchia caratterizzati da volumi modesti in ogni contrattazione quotidiana di borsa. Determinando il grado di liquidità di un ETF.
Naturalmente il fattore liquidità è rilevante per chi fa trading e gioca su variazioni percentuali modeste per fare utili rapidamente. Meno impattante per chi opera su orizzonti temporali molto lunghi come 10-15 anni, periodo nel quale questo differenziale di prezzo viene spalmato sul costo totale diventando poco significativo.
ETF: come capire se è liquido o no
Ma come possiamo capire se un ETF è liquido? Prima di tutto serve comprendere qual è la differenza media di prezzo tra chi vende e chi compra. Non bisogna farsi ingannare dal nome dell’emittente. Non è detto che gli ETF emessi da iShares abbiamo gradi di liquidità sempre elevati. Se ad esempio l’iShares Core World ha uno spread denaro lettera medio mensile dello 0,01%, l’iShares Digital Security ha uno spread dello 0,15% e l’iShares MSCI Saudi Arabia dello 0,20%.
Più che l’emittente è comunque il tipo di mercato che viene replicato che spesso fa la differenza quanto a liquidità dell’ETF. Ad esempio, l’ETF VanEck New China ESG ha uno spread giornaliero dello 0,40%, il Franklin Catholic Principles Emerging Market addirittura dello 0,67%. Il primo consiglio è quello di valutare le masse amministrate e la storia dell’ETF. Se la capitalizzazione supera i 100 milioni di euro e l’ETF “vive” da oltre 3 anni probabilmente la liquidità sarà sufficiente per contenere lo spread dentro livelli accettabili.
Nonostante questo filtro è opportuno un ulteriore approfondimento. Navigando online sui siti specializzati è possibile infatti esaminare nelle pagine ad hoc dei singoli strumenti non solo il valore in termini di prezzo denaro/lettera ma anche lo spread in valore assoluto e percentuale. Valori percentuali superiori allo 0,3% sconsigliano l’inserimento dell’ETF all’interno di un portafoglio, soprattutto se si ha intenzione di attivare un piano di accumulo su questo strumento, i cosiddetti PAC.
Per chi volesse evitare una ricerca ETF per ETF sui siti specializzati è possibile scaricarsi il documento aggiornato mensilmente da Borsa Italiana. In questo documento vengono forniti tutti i riscontri statistici degli ETF quotati in Italia. Nello specifico, per gli spread vengono fornite indicazioni per fasce di importo crescenti per valutare gli impatti su investimenti modesti oppure più consistenti.
Il requisito di liquidità non necessariamente è soddisfatto da questi controlli. Ad esempio potrebbe essere presente uno spread contenuto ma con volumi molto sottili che impediscono di vendere numeri di quote consistenti. Con queste semplici operazioni possiamo però mettere sotto controllo uno dei fattori di costo occulti degli ETF. Sempre ragionando in prospettiva di quale orizzonte temporale ci interessa. Maggiore sarà la permanenza in portafoglio di uno strumento e minore sarà l’incidenza della bassa liquidità.
Attenzione però anche al fatto che bassa liquidità spesso nasconde elevati rischi di liquidazione dello strumento da parte dell’emittente in quanto antieconomico. E la sorpresa potrebbe rivelarsi spiacevole visto che solitamente arriva in momenti di scarse performance dello strumento.