La diversificazione è indubbiamente stato il fattore di successo dei fondi di investimento prima e degli ETF poi. La possibilità di uscire dalla logica dell’acquisto di poche azioni oppure obbligazioni, con il rischio di incappare in fasi molto positive ma anche molto negative dei pochi asset in portafoglio, ha rappresentato la chiave di volta per molti investitori per abbassare notevolmente il livello di rischio dell’intero portafoglio d’investimento acquistando le quote di un fondo comune.
Con il vantaggio che, con l’avvento degli ETF, si possono replicare indici molto ampi in termine di numerosità di azioni a costi bassissimi. Basti pensare a quello che potrebbe essere l’onere che dovrebbe sostenere un singolo investitore per acquistare e ribilanciare continuamente le azioni che compongono l’indice S&P 500 oppure l’MSCI World con migliaia di azioni.
ETF: la diversificazione non è tutta uguale
Se la diversificazione è un grande pregio offerto dagli ETF, non tutti questi strumenti sono uguali. Le recenti ondate di emissioni di nuovi strumenti tematici, geografici, settoriali hanno portato sul mercato tanti ETF dove il fattore diversificazione è stato un po’ messo in soffitta. Difficile definire qual è la soglia critica che indica se un ETF è sufficientemente diversificato o meno, ma vale la pena ricordare che non è solo il numero di società presenti che diversifica un investimento. Entrano infatti in gioco elementi come la concentrazione geografica o quella settoriale.
Vediamo qualche esempio di ETF dove la diversificazione è praticamente assente. Ad esempio l’ETF che investe nell’indice della Borsa del Vietnam, l’Xtrackers MSCI Vietnam, ha appena 24 titoli presenti nel paniere, concentrati ovviamente su un solo Paese ma anche su due settori che insieme fanno il 50% dell’ETF, ossia finanza e Real Estate. Entrando nel mondo degli ETF tematici il VanEck Defence che investe nei titoli operanti nel settore difesa ha appena 28 titoli all’interno del paniere, con le prime 10 partecipazioni che rappresentano il 63% del totale. Gli esempi sono numerosi e quando al singolo tema/settore si somma una scarsa numerosità di società indubbiamente la diversificazione diventa una criticità.
Come capire il grado di diversificazione
Come fare per individuare se il fattore concentrazione di un ETF è alto o basso? L’unico modo è verificare la scheda mensile dell’ETF. Anche entrando in una delle piattaforme specializzate che si trovano online possiamo verificare il numero di società, concentrazione settoriale e di Paese. La cosa migliore rimane però come sempre quella di verificare queste informazioni direttamente nella scheda mensile dell’emittente. Tipicamente nella sezione dedicata alle informazioni essenziali dell’ETF (capitalizzazione, costi, replica) si trova anche il numero delle azioni che compongono l’indice replicato dall’ETF.
Sempre nella stessa scheda si possono poi individuare i nomi di queste società e solitamente anche la percentuale di peso delle prime dieci società presenti. Più è alto questo numero e peggiore è il profilo di diversificazione. Le stesse indicazioni si possono ottenere nella scheda andando a verificare il peso per ogni settore e paese. Nello specifico del comparto è sempre meglio avere almeno tre o quattro settori almeno che rappresentano fino ai tre quarti del paniere per considerarlo diversificato.
Attenzione però anche alle indicazioni specifiche che potrebbero emergere dal KID. Molti gestori decidono infatti di replicare indici che mettono dei cap, ovvero dei limiti massimi, all’esposizione per singola società o settore proprio al fine di evitare concentrazione molto forti. La diversificazione è un pasto gratis in finanza, ma non è detto che ogni fondo o ETF sia dotato di questo beneficio. Sempre meglio verificare con attenzione l’effettiva presenza di una adeguata diversificazione per evitare di trovarsi in contesti di mercato difficili con un prodotto incapace di smussare la negatività perché troppo concentrato su pochi titoli, settori o geografie.