La strategia 60/40 ha fatto acqua da tutte le parti nel 2022. Questo modello ha funzionato benissimo negli anni passati, quando i rendimenti obbligazionari facevano da tampone ai cali delle azioni nei momenti di forte incertezza dei mercati. Lo scorso anno qualcosa è andato storto. Il crollo delle azioni è stato innescato dalla politica monetaria ultra-restrittiva della Federal Reserve, che ha alzato i tassi d’interesse per ben sette volte, portandoli da quasi zero al 4,50%. Gli investitori hanno venduto massicciamente titoli azionari sull’attesa di una recessione globale in arrivo. Tassi più alti però hanno prodotto rendimenti obbligazionari più elevati per i titoli di nuova emissione, il che ha fatto crollare i prezzi dei bond detenuti in portafoglio.
Alla fine azioni e obbligazioni si sono mossi in tandem e la strategia 60/40 si è rivelata perdente. L’indice S&P 500 al 31 dicembre 2022 ha avuto una performance negativa del 19,44%, mentre il Bloomberg U.S. Aggregate Bond Index ha subito un calo del 13%, il più sostenuto dall’inizio del calcolo, nel 1976. Tale performance congiunta è stata peggiore anche rispetto a quella della grande crisi del 2008. Infatti, allora è vero che l’S&P 500 era crollato di 38 punti percentuali a fine anno, ma le obbligazioni avevano reso il 5%.
Strategia 60/40: come utilizzarla nel 2023
Per quest’anno riesce difficile immaginare che la strategia 60/40 possa rivelarsi nuovamente errata, anche perché è veramente raro trovare due anni consecutivi di crolli obbligazionari. Anche perché nella seconda parte dell’anno la Fed dovrebbe allentare la sua aggressività monetaria (secondo alcuni verso la fine del 2023 potrebbe addirittura iniziare nuovamente ad abbassare i tassi d’interesse).
Chris Brightman, CEO e chief investment officer di Research Affiliates, ha affermato che la maggior parte degli investitori sta detenendo e ribilanciando sistematicamente i fondi indicizzati. Al riguardo, un quadro da considerare nell’ottica del modello 60/40 sarebbe quello di combinare meglio le azioni e le obbligazioni in portafoglio. L’esperto suggerisce la seguente composizione.
Riguardo le azioni, investire intanto il 25% nell’ETF Vanguard S&P 500, che dal 1927 ha reso in media il 9% annuo, compresi i dividendi. Poi, considerare un’allocazione del 15% nell’iShares Core MSCI EAFE e un 5% nell’ETF SPDR Portfolio Emerging Markets, per sfruttare la ripartenza dei mercati emergenti. A questo si aggiunge un 10% nell’iShares Russell 2000 per riprodurre le small cap che, dopo anni di performance deludenti, potrebbero riemergere nel 2023. Infine, un 5% andrebbe collocato nel Vanguard Russell 1000 Value ETF, che offre esposizione verso i titoli value, i quali approfitterebbero della ciclicità dei mercati.
Per quanto concerne le obbligazioni, Brightman suggerisce di mettere un 10% nell’iShares Core US Aggregate Bond ETF, in quanto “miglior proxy per il mercato obbligazionario USA, compresi il debito societario investment grade e i T-Note”. A completamento del portafoglio, bisognerebbe investire un 5% in ognuno dei seguenti ETF: Vanguard Tax-Exempt Bond, iShares iBoxx $ Investment Grade Corporate Bond, SPDR Portfolio High Yield Bond e iShares J.P. Morgan USD Emerging Markets Bond. Questa composizione obbligazionaria, secondo l’esperto, sarebbe in grado ci costituire un buffer di portafoglio qualora sul mercato dovessero nuovamente registrarsi turbolenze in grado di affondare le azioni.