La quotazione dell’oro ha toccato un nuovo record storico nelle ultime ore, spinta dal taglio dei tassi di interesse da 50 punti base deciso dalla Federal Reserve mercoledì sera. L’uscita dalle politiche monetarie restrittive delle grandi Banche centrali (tranne la Bank of Japan) è solo una delle ragioni, ma molto importante, che stanno spingendo il valore del metallo prezioso. Secondo le analisi di Goldman Sachs la quotazione dell’oro potrebbe raggiungere i 2.700 dollari l’oncia entro l’inizio del 2025.

I fattori che sostengono l’aumento nella quotazione dell’oro
La riduzione dei tassi di interesse genera una riduzione dei rendimenti sui mercati finanziari e favorisce l’oro, rifugio sicuro che però non genera alcun ritorno che non sia quello portato dalla differenza positiva tra il prezzo di vendita e quello di acquisto. Questa relazione è la base degli ultimi movimenti al rialzo del dollaro, ma non è così immediata. “I mercati stanno prezzando un considerevole ciclo di tagli dei tassi di interesse da parte della Fed e pensiamo che buona parte del guadagno dell’oro per l’anno in corso sia già incluso nel prezzo”, evidenzia Peter Kinsella, responsabile globale delle Strategie Forex di UBP.
In altre parole, secondo Kinsella nella quotazione record raggiunta dall’oro sono già scontati i prossimi tagli dei tassi di interesse della Fed attesi dal mercato (75 punti base ulteriori entro fine anno e 1 punto percentuale nel 2025). Tuttavia, lo stesso strategist sottolinea che il “stiamo assistendo alla riduzione dei tassi da parte di diverse Banche centrali, e ciò implica che il contesto fondamentale per l’oro rimane favorevole”.
La quotazione dell’oro è poi sostenuta dal deprezzamento del dollaro USA. Il metallo prezioso è quotato in dollari, la cui svalutazione lo rende più conveniente da acquistare per gli operatori in valute diverse dal biglietto verde. Secondo Kinsella, su questo fronte per l’oro c’è ancora da guadagnare: “Gli overnight index swap (OIS) hanno prezzato un calo sostanziale del tasso sui Fed funds nei prossimi due anni, ma questo non si è ancora riflesso in misura significativa nei tassi di cambio del dollaro USA. I nostri modelli mostrano che un calo dell’1% dell’US Dollar Index è compatibile con un aumento dei prezzi dell’oro di circa 8 dollari per oncia. Se nel corso del prossimo anno il dollaro USA si indebolirà tra il 5% e il 10% su una base ponderata per gli scambi commerciali, probabilmente i prezzi dell’oro aumenteranno di quasi 100 dollari l’oncia rispetto ai livelli attuali” conclude lo strategist di UBP.
Ai fattori citati da Kinsella si aggiunge poi la domanda di oro a livello globale, che Oliver Taylor, gestore multi-asset e Joven Lee, strategist multi-asset, di Schroders, dividono in tre segmenti:
- Domanda occidentale
- Domanda orientale
- Domanda delle Banche centrali
Se la prima è stata finora un freno per l’oro, in quanto “diminuita in modo significativo” secondo Taylor, ma “con il ciclo di taglio dei tassi potremmo assistere a un’inversione di tendenza”, la domanda orientale si è mantenuta forte ed è stata “il principale driver dei prezzi dell’oro nell’ultimo periodo”. Questa situazione potrebbe confermarsi ancora, grazie alle “famiglie cinesi che non hanno alternative migliori di investimento. Infine, la domanda dalle Banche centrali rimane sostenuta da attori importanti come la Turchia e i Paesi del Medio Oriente, in attesa che la People’s Bank of China torni sul mercato dopo aver sospeso gli acquisti a maggio 2024.
Sullo sfondo, infine, rimangono i timori di escalation dei conflitti in corso in Medio Oriente, tra Israele e Hamas, e sui confini orientali dell’Europa, tra Russia e Ucraina.