Sul gigante tecnologico Alphabet sta per abbattersi una tegola molto pesante: i funzionari antitrust del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti chiederanno la vendita del browser Google Chrome in quanto distorcerebbe la concorrenza di mercato. A decidere sarà il giudice Amit Mehta, che questa estate ha emesso una sentenza secondo cui Google ha infranto le leggi antitrust sia nel mercato della ricerca online che in quello degli annunci di testo. La decisione ha fatto seguito a un processo di 10 settimane e Google ha affermato di presentare ricorso. Se ora Metha riceverà le proposte del dipartimento USA e di alcuni Stati che hanno aderito al caso, il mercato della ricerca online potrebbe essere rimodellato, così come la fiorente industria dell’intelligenza artificiale.
Alphabet: le accuse su Google
I querelanti hanno affermato che Google ha sborsato miliardi di dollari per mantenere il monopolio sul mercato della ricerca online con una quota del 90%. Per arrivare a questo ha fatto accordi con rivali tecnologici, produttori di smartphone e fornitori di servizi wireless, che hanno accettato di impostare Google come browser predeterminato su PC. Tali accordi hanno bloccato i punti di accesso chiave, impedendo ad altri motori di ricerca come Bing di Microsoft di ottenere il volume di dati necessari per il miglioramento del proprio business. Secondo StatCounter, un servizio di analisi del traffico web, il browser Chrome controlla circa il 61% del mercato negli Stati Uniti.
Negli ultimi tre mesi, il Dipartimento di Giustizia ha incontrato decine di aziende per capire a fondo il problema e studiare le mosse. Secondo alcune persone che sono vicine alla questione, gli Stati aderenti alla causa stanno ancora valutando alcune proposte e rivedendo alcuni dettagli. Sembra però che l’opzione più severa che avrebbe costretto Google a vendere Android sia stata per il momento accantonata.
Alphabet: cosa significa la perdita Google Chrome
Se Google dovesse rinunciare a Chrome, sarebbe un colpo fatale per la sua attività pubblicitaria. Il browser più popolare del mondo infatti rappresenta la gran parte degli introiti dell’azienda derivanti dagli annunci. Con l’accesso degli utenti, l’azienda è in grado di vedere la loro attività e di utilizzare i dati per l’indirizzamento nelle promozioni. Ciò si collega anche all’intelligenza artificiale, in quanto Google ha sfruttato Chrome per indirizzare gli utenti al suo prodotto di punta AI (Artificial Intellingence), Gemini. La mossa del governo è una spinta a “un’agenda radicale che va ben oltre le questioni legali in questo caso”, ha affermato Lee-Anne Mulholland, vicepresidente degli affari normativi di Google. Questa causa rischia di “danneggiare i consumatori, gli sviluppatori e la leadership tecnologica americana”, ha aggiunto.
Chi comprerebbe?
Il punto però è chi comprerebbe Chrome nell’eventualità che Google fosse costretta a uno spin-off forzato. Le aziende interessate potrebbero essere molte, ma quelle in grado di poterselo permettere veramente poche. Amazon è una di queste, ma un mega-affare del genere accenderebbe le luci dell’antitrust, che già sta effettuando un controllo radicale sul colosso di Seattle. Mandeep Singh, analista di Bloomberg Intelligence, ritiene che una combinazione di tale portata sia estremamente improbabile, mentre è possibilista su OpenAI, la start-up americana che ha rivoluzionato il mercato dell’intelligenza artificiale con il suo chatbot ChatGPT. “Ciò gli darebbe sia la distribuzione che un’attività pubblicitaria per integrare i suoi abbonamenti ai chatbot per i consumatori”, ha detto.