La reazione delle Borse asiatiche all’elezione di Donald Trump è stata molto più tenue di quanto ci si aspettasse. Perfino Pechino, a cui il presidente eletto ha destinato la gran parte dei suoi strali sotto forma di minacce di dazi, ha mantenuto un buon equilibrio, con il mercato di Hong Kong che è stato più colpito dalle vendite rispetto a Shanghai. James Cook, direttore degli investimenti di Federated Hermes, ritiene che “gli investitori stiano prendendo del tempo per digerire le elezioni negli Stati Uniti” e che l’unica certezza attuale e l’incertezza. “Trump potrebbe cambiare lo scenario da un momento all’altro con un solo tweet, come è abituato a fare” ha spiegato lo stratega degli investimenti durante una presentazione a Milano.
La minaccia principale sono i dazi sulle merci cinesi, dal 60% al 100%, ma al momento “non possiamo dire se si tratti della classica pistola sul tavolo per iniziare a trattare. Probabilmente vedremo tariffe iniziali di poco superiori al 15% ed eventualmente in incremento nel corso del 2025 e del 2026”. In ogni caso, secondo Cook, lo scenario per la Cina è diverso rispetto a quando The Donald è entrato per la prima volta alla Casa Bianca.
Le società cinesi pronte all’impatto Trump
Le tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti non sono una novità. Esistono ormai da qualche anno e le società cinesi hanno avuto il tempo di prendere delle contromisure che ridurranno l’impatto dei provvedimenti dell’amministrazione Trump. “Non c’è dubbio – ha ripreso Cook – che dazi al 20% sulle merci cinesi potrebbero avere conseguenze sul PIL della Repubblica popolare, fino all’1% di riduzione. Tuttavia, a differenza di Biden che era guidato più da un’ideologia anti-cinese, per il neo presidente si tratta di una questione commerciale. Inoltre, oggi le società cinesi hanno le capacità di sopportare una riduzione del commercio con gli Stati Uniti perché hanno rivolto il loro sguardo altrove. Messico ed Europa oggi sono partner commerciali più importanti degli USA e sono stati sviluppati importanti legami con altre aree soprattutto del sud del mondo”.
Cook aggiunge anche una nota di colore politico. Elon Musk è uno dei sostenitori più convinti di Donald Trump ma quanto gli conviene schierarsi contro la Cina? Nel 2023, il fatturato di Tesla è arrivato per oltre il 20% proprio dalla Repubblica popolare. Rimane il fatto che muoversi sulla Cina, per gli investitori, sarà complesso. Troppe le incertezze. Tanto che il presidente cinese Xi Jinping è sceso in campo nel recente G20 e ha fatto capire di non volere una guerra commerciale.
Per James Cook bisognerà essere molto selettivi. Le società da evitare sono quelle che hanno una competizione diretta con aziende statunitensi, perché Trump difenderà le seconde. Per esempio, i gruppi che operano nei settori del movimento terra o dei macchinari industriali. Meglio rivolgersi ai comparti dove la Cina ha un’indubbia posizione dominante a livello globale, come l’energia rinnovabile. In questi settori le alternative sono poche. Sarà così possibile sfruttare le quotazioni del mercato cinese, che rimangono basse in quanto scontano tutte le notizie negative che sono arrivate per l’economia del gigante asiatico: elezione di Trump, crisi del settore immobiliare, crisi di fiducia dei consumatori.
Le ultime due, peraltro, hanno già scaricato a terra la loro virulenza, secondo il responsabile degli investimenti di Federated Hermes: “Negli anni passati la Cina ha ribilanciato, non senza soffrire, la propria economia, riducendo il peso del settore immobiliare dal 30% al 10% del PIL”. Inoltre, Cook sottolinea come Xi Jinping abbia avviato uno spostamento della manifattura verso produzioni di alta qualità (made in China), sottolineando che molte società cinesi hanno attuato, negli anni passati, una profonda pulizia di bilancio. “Riteniamo che ora le politiche di sostegno all’economia dell’amministrazione di Xi Jinping si rivolgeranno al sostegno dei consumi interni e che finora gli interventi siano stati limitati dalla necessità di non sparare tutte le cartucce prima di vedere cosa farà Donald Trump”.
Borse asiatiche: India e Taiwan troppo costose
Alla posizione positiva verso la Cina, “soprattutto sfruttando le occasioni create dalla volatilità, come per esempio è accaduto con Xiaomi e Tencent”, Federated Hermes affianca quella verso la Corea del Sud. “Anche in Corea il mercato è a sconto – ha sottolineato Cook – ma per ragioni diverse dalla Cina”. Nella nazione del sud-est asiatico il problema principale è legato alla gestione del capitale delle aziende, ancora tutte in mano a grandi famiglie secondo il modello tradizionale del chaebol. Queste applicano una politica discriminatoria verso i piccoli azionisti. “Tuttavia – ha proseguito Cook – anche in Corea le quotazioni sono a sconto. Inoltre, così come in Cina, il governo si è mosso con programmi di valorizzazione del mercato azionario locale, per cancellare le sottoperformance di cui soffre proprio a causa di queste politiche”.
Meglio invece evitare i mercati azionari di Taiwan e India. Nell’isola contesa di fronte alle coste della Cina, i prezzi delle azioni rendono difficile trovare società convenienti (il mercato azionario scambia a 19 volte gli utili medi). Ancora peggiore è la situazione in India (25 volte) dove, sottolinea Cook “abbiamo una sola posizione aperta”.Borse c