Lo yuan continua a perdere terreno nei mercati valutari rispetto al dollaro USA, subendo la pressione della minaccia dei dazi USA sulle importazioni cinesi. Questa settimana, il neo presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato nella sua piattaforma Truth Social ulteriori tariffe del 10% per le merci provenienti dalla Cina che entrano in territorio americano. La stretta dovrebbe partire già dal 20 gennaio 2025, data di insediamento del leader repubblicano alla Casa Bianca. Durante la sua campagna elettorale, Trump ha promesso di introdurre dazi minimi del 60% su tutte le importazioni cinesi, in un’ottica di favorire le aziende nazionali. Tutto ciò ha comportato un indebolimento dello yuan, che verso il dollaro americano ha perso oltre 2 punti percentuali dal 5 novembre, giorno in cui il magnate newyorchese è stato eletto presidente.
Il motivo principale del rafforzamento del cambio USD/CNY è legato all’inflazione che le nuove tariffe potrebbero rimettere in moto. La Federal Reserve a quel punto sarebbe costretta a tenere alti i tassi di interesse, alimentando la forza del dollaro. C’è anche una questione derivante dalla domanda di valuta straniera. In sostanza, i consumatori americani propenderebbero per i beni nazionali, perché costerebbero di meno. Giocoforza, diminuirebbe la richiesta per le merci cinesi e quindi di yuan per acquistarle.
Il dilemma della PBoC
La People’s Bank of China mantiene uno stretto controllo sul valore dello yuan onshore attraverso la fissazione giornaliera di un prezzo intorno a cui consente un’oscillazione del 2% rispetto al dollaro. Il trading offshore invece è più orientato al mercato. Ora però la Banca centrale cinese deve affrontare la dura sfida di proteggere lo yuan dal calo eccessivo, per evitare il rischio di esacerbare i deflussi di capitale dalla Cina. Quest’anno ha cercato di difendere il livello dell’USD/CNY di 7,3, ma l’andamento del cambio fa pensare che il raggiungimento della soglia sia vicino.
“Lo yuan è già vicino a 7,3 per dollaro che le autorità hanno cercato di difendere”, ha detto Cedric Chehab, capo economista di BMI. “Una spinta oltre questo livello aumenterebbe la volatilità per i mercati finanziari cinesi, cosa che la PBoC vorrebbe evitare”. L’istituto monetario però si trova di fronte a un problema: i tassi di interesse. In sostanza, non vorrebbe aumentarli per paura di arrestare il rilancio dell’economia, ha aggiunto Chehab.
Lo yuan ai minimi storici?
Le banche di investimento però non sono ottimisti sul percorso dello yuan nei prossimi mesi e per tutto il 2025. Secondo le previsioni di 13 istituti di credito (UBS, BNP Paribas, Barclays, JPMorgan Chase, BMI, Société Générale, Morgan Stanley, Goldman Sachs, Macquarie Group, Capital Economics, Nomura, ING e Oxford Economics), la valuta cinese si indebolirà a una media di 7,51 per dollaro entro la fine del prossimo anno, il che segnerebbe il livello più basso mai registrato.
A determinare il pessimismo delle banche è soprattutto la minaccia dei dazi trumpiani. “L’incertezza è molto più alta questa volta rispetto al primo mandato di Trump, data l’entità della minaccia tariffaria e dello squilibrio commerciale tra Cina e Stati Uniti”, ha detto Ju Wang, responsabile della strategia Greater China FX & rates di BNP Paribas. Durante la scorsa amministrazione Trump 2016-2020, lo yuan si è deprezzato di circa il 5% nel corso del round iniziale dei dazi USA nel 2018, e di un ulteriore 1,5% nell’anno successivo. Jonas Goltermann, vice capo economista dei mercati di Capital Economics, è dello stesso avviso di Wang. “I dazi statunitensi, a parità di altre condizioni, porterebbero a un apprezzamento del dollaro, con le valute delle economie con stretti legami commerciali con gli Stati Uniti che vedrebbero i maggiori aggiustamenti valutari”.
