I rendimenti dei titoli di Stato USA sono in calo sui mercati obbligazionari dopo una serie di dati economici che hanno riacceso la speranza in una Federal Reserve più accomodante nei prossimi mesi. Ieri l’indice dei prezzi alla produzione di maggio si è contratto di 0,2 punti percentuali, a fronte di attese a +0,1%, risultando in netto calo rispetto all’incremento dello 0,5% di aprile. In contemporanea la lettura dei sussidi di disoccupazione ha segnalato il livello più alto degli ultimi 10 mesi a 242 mila unità. Questi dati si aggiungono a quelli rilasciati mercoledì in merito all’indice dei prezzi al consumo che hanno riportato un tasso di crescita del 3,3% su base annua, a fronte di aspettative del consensus del 3,4%.
“Sia l’inflazione complessiva che quella core del PPI statunitense sono state significativamente inferiori alle attese, rafforzando l’idea che le pressioni inflazionistiche abbiano finalmente iniziato ad allentarsi” hanno dichiarato gli analisti di Rabobank in una nota oggi. Il raffreddamento dell’inflazione ha fatto crescere l’aspettativa negli investitori che la Fed alla fine tagli i tassi di interesse di 50 punti base quest’anno, hanno affermato gli analisti di Deutsche Bank. “Ciò ha portato a un nuovo rally per i Treasury USA”, hanno aggiunto.
Titoli di Stato USA: ecco perché non vanno comprati
Nella riunione dell’11-12 giugno la Banca centrale americana ha lasciato invariato il costo del denaro nell’intervallo 5,25%-5,5%, abbassando le proiezioni a un solo taglio per il 2024 rispetto alla previsione di tre tagli a marzo. Tuttavia, i membri del FOMC hanno lasciato aperta la porta a una ulteriore riduzione qualora le condizioni economiche e inflazionistiche la rendessero necessaria. I trader obbligazionari stanno dando per scontata questa opzione e quindi si stanno proiettando verso l’acquisto dei titoli di Stato USA.
Il gestore patrimoniale PGIM Fixed Income cerca però di smorzare gli entusiasmi, ritenendo che il mercato sia in questo momento eccessivamente fiducioso che i tassi di interesse siano sufficientemente alti da riportare l’inflazione verso l’obiettivo del 2%. Con l’indice core dei prezzi al consumo che sale dello 0,3%, nei prossimi trimestri c’è la possibilità che la Fed cambi l’orientamento da espansivo a restrittivo, secondo Robert Tipp, responsabile delle obbligazioni globali della società statunitense che gestisce asset per 1.340 miliardi di dollari. In altri termini, c’è più probabilità che la Fed non abbia finito con i rialzi dei tassi. “La Fed probabilmente non può essere sicura che sia abbastanza restrittiva. Il nocciolo della questione è che l’inflazione in media è al di sopra dell’obiettivo e l’economia è ancora molto forte”, ha detto Tipp.
Quindi, a suo giudizio, investire sui Treasury può essere un rischio in prospettiva. “Il consensus è convinto che ci saranno molti tagli dei tassi in arrivo e rendimenti del Tesoro più bassi. Penso che questa narrazione debba cambiare”, ha aggiunto prevedendo un rendimento dei bond a 10 anni del 4,5%, circa 30 punti base in più rispetto ai livelli attuali. A giocare contro le obbligazioni americane comunque sarà una combinazione sfavorevole di alcuni fattori – precisa il manager di PGIM – come “emissioni elevate, tagli dei tassi della Banca centrale meno probabili e inflazione più alta”. Alla luce di tutto ciò, Tipp preferisce le obbligazioni societarie di qualità nei mercati sviluppati e il debito sovrano di Australia, Svizzera, Thailandia e Brasile.