Nel tentativo di acquisizione di Banco BPM, Unicredit si trova di fronte a una serie di ostacoli che sconfinano nella politica. Il canovaccio è praticamente lo stesso di quello visto nell’affaire Commerzbank: barricate dalla banca obiettivo e dal governo.
L’istituto guidato da Giuseppe Castagna sta affilando le armi per rendere la vita più difficile al gruppo bancario di Piazza Gse Aulenti in vista di una probabile assemblea straordinaria. Il Consiglio di amministrazione questa settimana ha bocciato nettamente l’offerta pubblica di scambio di 10,1 miliardi di euro lanciata da Unicredit, che valuta il prezzo delle azioni Banco BPM 6,65 euro ciascuna, con un premio appena dello 0,5% rispetto al prezzo di chiusura di venerdì 22 novembre.
Il punto è che da quando è stata resa nota l’OPS, le azioni Banco BPM sono salite fino a 7 euro, mentre quelle di Unicredit sono scivolate da 38 a 36 euro. Questo significa che la banca guidata da Andrea Orcel dovrà alzare la posta, anche incamminandosi verso un’acquisizione ostile.
Le mosse difensive che potrebbero essere inserite da Piazza Meda nell’ordine del giorno in assemblea sono diverse. Una è quella di alzare il prezzo per l’OPA su Anima Holding, in questo momento fissata a 6,2 euro per azione con un premio dell’8,5%. Allo studio anche la cessione di immobili e partecipazioni, nonché la distribuzione di un dividendo straordinario. Circolano altresì ipotesi di una fusione con Banca MPS, che farebbe la felicità del governo Meloni ma che oggettivamente risulta essere molto difficile.
Queste soluzioni dovrebbero cercare di dissuadere Orcel dall’attuare una scalata senza alcun accordo, spingendolo quantomeno ad alzare il prezzo dell’offerta di almeno il 10%-20% in contanti. A quel punto l’affare si complicherebbe, perché gli azionisti di Unicredit potrebbero insorgere temendo per la propria remunerazione.
Unicredit-Banco BPM: occhio a possibili intrusioni
Il governo italiano non è entusiasta della manovra avviata da Unicredit, in quanto scombinerebbe i piani di Palazzo Chigi di creare il terzo polo bancario con una fusione tra Banco BPM ed MPS. Nella maggioranza che sostiene l’esecutivo si sta anche creando una spaccatura. Se il primo ministro Giorgia Meloni ancora non si è espresso, i due vice Matteo Salvini e Antonio Tajani hanno posizioni opposte. Il leader della Lega sta agitando la minaccia del golden power per impedire l’operazione, in quanto teme uno spostamento all’estero del business del gruppo nascente.
Unicredit è una public company, ma il suo principale azionista è il grande gestore patrimoniale americano BlackRock. Ed è questo che inquieta l’attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Tajani invece ritiene che la politica non debba immischiarsi in queste vicende e che sia compito delle autorità di regolamentazione decidere sulla fattibilità o meno dell’operazione.
Sulla questione è intervenuto a gamba tesa Nicola Rossi, economista, ex senatore Pd e consigliere dell’Istituto Bruno Leoni, ventilando l’ipotesi di un ingresso di una banca francese se Unicredit dovesse essere messa fuori gioco. “Su Unicredit-BPM il governo non faccia il provinciale. Anche perché l’alternativa potrebbero finire per essere i francesi”. Rossi non lo dice esplicitamente, ma l’ipotesi più probabile è che l’intruso possa essere Credit Agricole. “Non dico che lo sia, ma l’alternativa paradossale potrebbe essere che una simile operazione sia fatta da parte di un istituto transalpino. Cosa faremmo allora? Fermeremmo anche loro?”, ha detto.
Credit Agricole è il maggiore azionista di Banco BPM e per giunta controlla Amundi, che a sua volta – notizia delle ultime ore – detiene una partecipazione dell’1,3% in Unicredit. Il più grande gestore patrimoniale europeo è partner di Unicredit nella gestione di fondi, avendo acquistato nel 2017 Pioneer, l’attività di asset management della banca italiana.
Riguardo il golden power, l’ex presidente del consiglio di sorveglianza di Banco BPM ha riferito che questo “è uno dei casi in cui la norma dovrebbe accuratamente essere messa da parte, lasciando alla BCE il compito di decidere, soprattutto in un mercato europeo che deve consolidarsi”.